Cento anni di malavita cosentina

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SONO PASSATI cento anni dalla storia che Claudio Dionesalvi racconta nel suo libro “Za Peppa: come nasce una mafia, alle origini della malavita cosentina” edito da Coessenza Edizioni. Una storia per certi versi scomoda, fatta di malavita, di ragazzi e di una città come Cosenza che tuttora vive le sue amarezze, assorbendole fino a dimenticarle. “Za Peppa” al secolo Francesco De Francesco, fu il primo grande boss di Cosenza, processato in Assise nel 1903, avvenimento considerato il primo evento di cronaca giudiziaria cittadina del nuovo secolo.
L’autore, attraverso la storia del boss di tutta la città, racconta di quattro giovani che verranno “battezzati” alla vita criminale. In un momento in cui la città regredisce sia sul piano culturale che su quello sociale, questo piccolo libro presentato ieri alla Casa delle Culture di Cosenza, in una sala affollata, diventa un pretesto per interrogarsi sul presente e sui cambiamenti che hanno inciso profondamente sulla società e sulla vita cittadina.
Un modo per rendersi conto che ancora oggi nulla sembra cambiato. Nel libro c’è la malavita, ma ci sono anche i poliziotti, quelli che hanno cercato di non fermarsi davanti alla paura e poi ci sono i giornali dell’epoca e le sue penne riottose, restie al silenzio, come Antonio Chiappetta, fondatore e direttore del “Giornale di Calabria” oppure Pasquale Rossi con “Il Domani”. Da un lato quindi la narrazione, il gusto del racconto come riproposizione di una cultura orale, di scambio, fatta di persone e di quotidianità, dall’altra invece i documenti che danno valore al racconto, lo contestualizzano nell’epoca raccontando fatti reali.
L’importanza stessa di “Za Peppa” sta nell’interrogarsi sul presente non solo sul piano culturale e sociale, ma anche in un ambito linguistico e antropologico, in modo da analizzare profondamente le dinamiche della malavita e su come ancora stenda la sua “mano nera” nelle strade cittadine. Un lavoro di lunga ricerca tra archivi, coadiuvato da Maria Spadafora, per illuminare i profili dei tanti personaggi che hanno attraversato lo sviluppo della storia. Un progetto che quindi è solo un punto da cui partire per poter ricostruire nel tempo un’analisi ancora più dettagliata e specifica. Per l’attore Silvio Stellato che per l’occasione ha letto alcuni brani del libro, “Za Peppa” deve dare l’opportunità al lettore di poter capire il senso stesso dei luoghi che circondano la storia, osservandone le evoluzioni e i progressivi abbandoni, temi attualissimi che rimandano allo stato di disinteresse che sembra aver avvolto la città negli ultimi anni.
Il passato non può soltanto raccontare, ma deve far capire e approfondire le problematiche che nel corso del tempo si sono stratificate nella società cittadina.
Per il giornalista Eugenio Furia è importante chiedersi come cambiare e legare indissolubilmente il valore della storia al presente, cercando di capire anche come la lingua stessa abbia assorbito i cambiamenti, trasformando alcune parole gergali in termini che ora sono d’uso comune nel dialetto cosentino. Il linguaggio come specchio della città stessa.
Vedere quindi il passato nella sua evoluzione pratica, senza  soffermarsi sull’aspetto puramente teorico. “Za Peppa” è un libro per la città e per i suoi cittadini, un modo per potersi riappropriare degli errori e degli slanci che, come all’inizio del secolo scorso, anche oggi nel nuovo millennio la città vive attraverso le menti, le parole e i dissensi, in modo da poter riconquistare proprio quello che ancora oggi Cosenza sembra non avere attenuto ossia un’identità propria. Come ha detto Totonno Chiappetta in un intervento, la città deve allontanarsi dall’approccio scontato che vede l’evoluzione come un “furto”, ma riportare partecipazione, confronto e nuova socialità, trovando un modo per evitare l’ennesima ghettizzazione intellettuale, fatta da pochi al servizio di pochi e uscire ancora una volta dai quartieri che in quanto simboli stessi della storia di Cosenza devono essere il punto di partenza contro la noia il silenzio e soprattutto le amnesie.
Valerio Panettieri
Il Quotidiano, 20 dicembre 2007

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