L’era delle bombe

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I Calabresi devono ritenersi un popolo di fortunati. Se infatti si escludono delitti, faide, disoccupazione e altri mali endemici, possono sempre sentirsi felici di essere immuni dalla strategia del terrore. Attenzione però: il fatto che la Calabria non è il terreno privilegiato dei rigurgiti stragisti degli ultimi mesi, non la pone al riparo da attentati e bombe. Gli ordigni di Roma, Firenze e Milano hanno prodotto una sensazione di sgomento per l’efferatezza degli esecutori e per obiettivi che l’umana idiozia aveva fino ad oggi risparmiato. Ma soprattutto, le recenti stragi si sono rivelate “inquietanti”, per l’impossibilità di individuare, al di là della retorica dietrologica, i veri responsabili e il loro movente. E quando di un male non si conosce l’origine, è difficile addirittura prendere atto della sua esistenza; forse è proprio dall’incapacità di accettare la realtà, che nascono le ipotesi irrealistiche che oggi sfornano politici ed intellettuali nel nostro paese. L’analisi più semplice: “È il vecchio ceto politico a mettere le bombe, per contrastare l’avanzata del nuovo”, può essere confutata ricordando che le stragi non indeboliscono mai il “potere”, caso mai lo rafforzano, perché chiamano in campo il suo apparato militare. In parole povere: cosa spererebbero di ottenere i Craxi e gli Andreotti seminando il panico? Se venissero a galla le loro responsabilità nella gestione dello stragismo, come nel malaffare, riuscirebbero ad evitare il linciaggio di piazza? Per gli inquirenti che indagano sui suddetti crimini, il lavoro non sarà facile e probabilmente occorreranno anni prima che affiorino nuovi elementi. In Calabria invece siamo abituati ad altre forme di attentati e non sarebbe necessario coinvolgere grandi studiosi di terrorismo, per capire mittenti e destinatari delle bombe di casa nostra. La recente scoperta, da parte dei carabinieri, di un grosso quantitativo di esplosivo nascosto in un tombino nei pressi della strada che collega Belvedere a S. Agata d’Esaro, dovrebbe dirla lunga sulla volontà di imbavagliare i giudici calabresi…Tangentopoli ci ha insegnato che, rispetto all’azione della magistratura, bisogna evitare sia i toni esaltanti (che hanno creato il mito Di Pietro), sia la totale diffidenza verso possibili sbocchi positivi. Se (per esempio) Cordova avesse avuto un maggiore sostegno popolare, si sarebbe trovato meno solo nel difendersi dagli attacchi dei politici legati agli ambienti massoni. Secondo le ipotesi dei carabinieri, oggi nel mirino di qualcuno, ci sarebbe Tommaso Arnoni, titolare di importanti inchieste. Un circuito di attenzione popolare che nasca dal basso, sulle vicende che stanno investendo la provincia di Cosenza, potrebbe servire ad esorcizzare la nostra atavica indifferenza e possibili future tragedie.

Claudio Dionesalvi

Tribuna Sud Italia n° 12 – 1993

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