Canto di libertà di un no global

«Amo le rondini che ricamano sui tetti di Corso Mazzini. Amo l’albero della ficuzza… amo la Ciroma e tutti gli altri spazi liberati…».
Canto di libertà di Claudio Dionesalvi in Mammagialla, diario di una carcerazione edito da Rubbettino.
Il carcere, una storia comune a venti persone di Cosenza, Taranto e Napoli. L’arresto, venerdì 15 novembre 2002, in piena notte e i giorni trascorsi a Viterbo e Trani.
L’accusa è pesante, “Cospirazione contro l’ordinamento economico dello Stato e associazione sovversiva”, accusati per essere no global e quindi per aver manifestato un dissenso verso le idee neoliberiste. La scarcerazione, la libertà materializzata, l’esultanza. Pagine di diario per un racconto intimo, non un manifesto politico, riflessioni che la paura, la rabbia, l’incredulità non soffocano. Attenzione, quella di Claudio scrittore, verso ogni immagine che appare, ogni emozione che arriva al cuore. L’ambiente, stralci di cielo tra grate, odori penetranti e colmi di significato, narranti verità drammatiche, stati di alienazione indotti dal gas, fughe dalla realtà dura e lacerante, troppo per ogni uomo. Strette di mano, sorrisi, confessioni che si trasformano in saggezza, raggiunta attraverso la sofferenza della reclusione, della permanenza nel tempo immobile dell’attesa, della colpa, dell’evento fermo nella memoria. L’obbligo di rinchiudere i gesti naturali, quelli intimi, gli abbracci tra familiari, in procedure lunghe, rigide, umilianti, nulla sfugge ai controlli, neanche l’affetto tra padre e figli. Il racconto di una vivace disponibilità alla conoscenza, alle sue trasformazioni in amicizia, al sentimento che caratterizza gli incontri, «un segnale d’amicizia può bastare a fare apparire l’infermo come il migliore dei mondi possibili». Il ritrovamento con l’amico Gianfranco, con gli altri compagni, finalmente la possibilità di ridere, la forza e la capacità di sdrammatizzare, stessa visione della vita che sa regalare gioia nello sconforto.
Claudio s’interroga continuamente sui significati, sul senso che sta dietro le cose, dietro la giustizia, dietro le gabbie, dietro l’apparenza. «In galera, la capacità di analizzare fatti e situazione è direttamente proporzionale al senso di angoscia». Insegnante, educatore in apprensione per i suoi ragazzi, preoccupato di trovare i termini giusti per poter spiegare non solo la disavventura di un errore giudiziario ma gli avvenimenti con limpidezza e obiettività. La ferma volontà di non fermare negli allievi la capacità critica, la forma di pensiero a cui continuamente fa riferimento, guida delle sue analisi. Lui e i suoi allievi, un’ansia effettiva che spesso lo insegue. Una grande richiesta di giustizia che vuole oltrepassare giudizi e accuse spesso alla mercé di meccanismi assurdi in cui gli apparati legali s’incartano. E poi Cosenza, città natia amata e conosciuta anche nei suoi punti d’ombra, gli ultrà gruppo di appartenenza per uguale passione calcistica. Il desiderio di essere uomo libero, di opporsi all’omologazione delle esistenze, vista come la più aberrante delle prospettive di vita.
Un diario da leggere con cura per comprendere la commozione e l’entusiasmo nella difesa di un mondo migliore.
Laura De Franco
La Provincia cosentina, 9 luglio 2003

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