L’isola perduta dei disonesti

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Mentre ricominciano a tuonare lavoratori e disoccupati di Crotone e Gioia Tauro, preannunciando una situazione che diventerà esplosiva in pochi mesi, si riaffacciano nel cielo calabrese le nubi di “tangentopoli”. Un giorno forse qualcuno si preoccuperà di scrivere la storia di questo termine; una parola che mira a contenere in uno spazio e in un tempo delimitati, un fenomeno che in realtà non risparmia l’intera classe politica.
Se proviamo a ripercorrere la storia del terremoto che ha portato in superficie alcuni affari illeciti, sorge il sospetto che in Calabria la disonestà sia quasi un sistema di vita. Fino a questo momento, infatti, si è trattato di “ordinaria amministrazione”; sulle liste nere di giudici e mass media sono finiti solo ex sindaci, qualche imprenditore (i più sfortunati) e alcuni esponenti (pochissimi) dell’alta politica. Eppure la Calabria è la culla delle collusioni fra imprenditori, politicanti e malavita; la terra in cui lo “scambio” è un fatto culturale, fa parte di quell’etica che ci porta a dire prima “a chi apparteniamo” e poi chi siamo, quando entriamo in un ufficio pubblico. Basterebbe veramente poco per far saltare alcuni equilibri; per esempio: che il Parlamento fosse meno restio nel concedere autorizzazioni a procedere. Oppure che qualcuno prendesse in considerazione il fatto che in una città come Cosenza agiscono (stadio e parcheggi) le imprese più infangate nelle indagini della magistratura milanese. Sarebbero già questi, buoni spunti per risalire i sentieri che portano alle tante “cupole” (non ne esiste una sola). Ma qui, più che altrove, una simile ondata causerebbe scompensi gravissimi. Cosa accadrebbe se crollassero i feudi eterni?
Interi settori della società calabrese sarebbero sconvolti, privi di protezione: l’elettorato entrerebbe in una cupa crisi e la DC (forse) perderebbe il suo strapotere in una delle ultime zone rimaste a sostenerla (l’altra è il Veneto). Gli avidi politicanti del restante panorama partitico si lancerebbero anche qui all’assalto, sbandierando la loro presunta onestà (?).
L’accostamento sembrerà strano, ma è certamente più semplice smascherare Craxi e condannare cinque immigrati a sei mesi di reclusione (come è successo a Palmi) per avere rubato dei vestiti, che trascinare in un tribunale i “signorotti” che tutti conosciamo. Nei primi due casi la gente è più felice, si sente sicura, respira aria di pulizia; nel caso invece in cui venga privata del protettore diretto, si sente in ansia, può arrivare addirittura a perdere il posto di lavoro.
Il ministro Andò, negli ultimi tempi, ha sottolineato la necessità della presenza dell’esercito in Calabria. Un tempo i militari venivano per reprimere nel sangue fenomeni come il brigantaggio e per reclutare con la forza chi rifiutava il servizio di leva; questa volta presidieranno il santuario di S. Francesco di Paola e il cimitero nuovo di Cosenza: perché anche in queste strutture, qualcuno, è riuscito a rubare impunemente il denaro pubblico.
Claudio Dionesalvi
Tribuna Sud Italia, aprile 1993

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