(intervista rilasciata ad Anna Zupi)
Quando si è creato il gruppo e perché?
La Nuova Guardia nacque nel 1986 per le stesse ragioni che da sempre spingono tutti i ragazzi a formare un gruppo: identità, protezione reciproca, voglia di emergere, desiderio di autonomia.
Come mai ha preso questo nome?
Noi sostenevamo di essere i “nuovi” Nuclei Sconvolti, una specie di “Primavera” degli Ultrà Cosenza. Trasgressivi, ribelli, innovativi, intenzionati a portare in curva la “vera” mentalità ultrà, come del resto oggi fa la maggior parte dei gruppi organizzati che danno vita alla nostra meravigliosa tifoseria. Ciascuno pensa di incarnare il modo giusto di essere ultrà. L’importante è che non venga mai a mancare il rispetto tra quartieri, gruppi e comitive…
I componenti che età avevano?
Come recita la canzone: “avevo tredici anni…”
Qual era il vostro simbolo?
Ne abbiamo avuto più di uno. Andy Capp, la stella a cinque punte verde gialla e rossa, lo squatt (che è il logo degli occupanti di case e spazi sociali), il bambulé, Syd Barrett, Jim Morrison, la “pampina”… ma i simboli non sono mai stati una fissazione per noi. Perché per essere un attivista dei movimenti, un ribelle, un ultrà sette giorni su sette, non contano né i simboli che porti sul petto né ciò che dici di essere, bensì i tuoi comportamenti. Puoi esprimere i concetti più interessanti, indossare la felpa più “di tendenza” e lanciare gli slogan più significativi, ma il problema rimane quello che fai in concreto per animare la curva e costruire un’Altra città.
I vostri anniversari, feste o eventi da ricordare?
Non avevamo ricorrenze. Eventi? Ci vorrebbe un romanzo. Te ne racconto uno in breve, il primo che mi viene in mente, forse anche il più stupido: una notte di un’estate di tanti anni fa, dormimmo tutti insieme su una spiaggia, coperti dal nostro striscione. A un certo punto cominciammo a giocare. Ci prendevamo a sassate. Uno di noi si beccò una pietrata che gli spaccò il sopracciglio. Gli uscì un fiume di sangue. Ma noi cercammo di convincerlo a non farsi visitare dalla guardia medica. Temevamo che poi se ne sarebbe andato a casa. Lui aveva il fumo! Cinismo adolescenziale! Incoscienza pura.
Avevate uno slogan o un motto in particolare che vi caratterizzava?
“Allo stadio, nella strada, Nuova Guardia Intifada”. “Contro la corrente che va controcorrente”. “Siamo interessati a tutto ciò che riguarda il disordine, il caos, la rivolta, soprattutto a quelle attività che sembrano non avere alcun significato”. E poi il famigerato: “Noi siamo una brigata drogati e delinquenti”, lo slogan che scandivamo insieme ai ragazzi di Cosenza Vecchia e Via Popilia con cui nei primi anni di serie B formavamo una comitiva fissa e molto affiatata.
Di quali valori parlavate in particolare?
L’antirazzismo, l’antiproibizionismo, l’elogio della follia. Più che parlarne, provavamo a metterli in pratica, tra mille contraddizioni.
Vi definivate tifosi o ultras?
Ultrà.
Che significava per voi stile ultras?
“Stile” è un termine da discotecari e negozi di abbigliamento. È anche una parola che è stata rivalutata quando a Cosenza sono arrivate o ritornate le cosiddette sottoculture giovanili come l’hip hop, il punk, il dark e lo skin. Ultrà significa andare al di là di tutto. Per la città, la curva e due colori. Per la voglia di capovolgere i ritmi abituali di vita e lo stato di cose. Il calcio c’entra poco e niente. E comunque a molti di noi piaceva e piace pure il calcio. Uno stile di vita è fatto di linguaggi, interessi, relazioni, consumi. Noi avevamo i nostri. Che non erano meglio di quelli adottati dagli altri. Semplicemente, erano diversi! Tutti quelli che facevamo parte della Nuova Guardia, li conserviamo ancora oggi.
Eravate un gruppo di sinistra?
Se ti rispondo di sì, c’è il rischio che tu possa pensare subito a Nicola Adamo, D’Alema, Bertinotti e Vendola o addirittura al vecchio PCI. Nulla di tutto ciò. Molti di noi erano e sono di sinistra, ma in basso. Significa non votare, non avere tessere di partito, bensì svolgere attività nei quartieri, nelle associazioni o sul posto di lavoro, al fine di costruire l’autonomia del sociale. Soprattutto in una terra come la Calabria, se riuscissimo a dare vita ad istituzioni dal basso, alternative allo schifo di classe politica che esprimiamo sotto ricatto, non vivremmo nel marciume in cui viviamo. Salute, istruzione, cultura, sport, consumi e tempo libero indipendenti e sganciati dai signori in giacca e cravatta che mandiamo a governarci. Di questo avremmo bisogno. È un’utopia. Ma esistono frammenti di questa utopia già funzionanti. Bisognerebbe crederci di più.
Lo stadio non può essere considerato un luogo in cui fare propaganda. È chiaro che sarebbe sbagliato entrare in curva e lasciare una parte di sé all’esterno. Però bisogna rispettare la curva e capire che è un universo variegato, formato da persone diverse. E già se poni questo quesito ad alcuni miei fratelli della ex Nuova Guardia, ti diranno che la pensano diversamente da me. È naturale e condiviso da tutti, in ogni caso, che i nazisti non devono entrare in curva. Perché le loro non sono “idee”. Il neonazismo, e tutti i fenomeni ad esso ricollegabili, rappresentano una minaccia concreta ai più deboli, alla vita, alla libertà e alla dignità umana. È un’ideologia poliziesca. In quanto tale, è il contrario della cultura ultrà e di tutti i movimenti giovanili che si fondano sulla gioia di stare insieme.
Cosa rappresentavano i vostri stendardi?
Ne avevamo di tutti i tipi e le forme. Il più grande misurava cinque metri per tre. Per issarlo, ci volevano quattro persone. Raffigurava la bandiera scozzese. Avevamo il mito degli Scozzesi perché sono da sempre i supporters più affascinanti del mondo.
Cosa pensate del modello inglese?
È un sistema di polizia inventato per asportare la violenza dagli stadi e trasferirla in luoghi appartati. Una forma di carcerazione di massa! Comunque meno delirante del sistema all’italiana, che prende a prestito i lati negativi del modello anglosassone e li unisce alla tradizione brutale delle “nostre” forze dell’ordine.
In che modo pensate di poter stare più vicini ai fratelli di curva?
Oggi il nostro gruppo non esiste più. Quei pochi che andiamo ancora allo stadio, amiamo mescolarci a tutti i gruppi, fare amicizia con le nuove generazioni, soprattutto con i ragazzi provenienti dai centri della provincia, che sono dotati di passione, simpatia ed emanano una formidabile umanità.
In che modo operate nel sociale?
Ciascuno come può, secondo le proprie attitudini ed affinità. Io mi occupo di editoria, formazione e comunicazione dal basso. La politica e il sociale, se concepiti nella loro dimensione umana, si possono praticare difendendo la terra in cui viviamo dall’aggressione delle multinazionali e delle mafie che avvelenano l’aria con discariche, elettrodotti, megacentri commerciali e cemento selvaggio. Oggi essere ultrà significa anche tutelare i luoghi in cui viviamo. E non è casuale che tanti ultrà abbiano partecipato alle mobilitazioni di Genova nel 2001 contro il G8, in Val di Susa per fermare l’alta velocità, a Chiaiano per non aprire la discarica, in Basilicata contro le scorie nucleari e a Vicenza contro la base Nato.
A Cosenza, nel corso del tempo, l’intervento nel sociale non è mancato. Penso agli spazi autogestiti, al cenacolo francescano, al pranzo di Natale con i poveri, alla manifestazione a favore dei profughi curdi, alle campagne contro l’eroina in curva o alle recenti iniziative in solidarietà ai detenuti o alle popolazioni abruzzesi colpite dal terremoto. Tutto questo significa “essere ultrà sette giorni su sette”.
Tornelli e biglietto nominale?
Sono strumenti previsti dalle leggi speciali emanate dai governi di centrosinistra e centrodestra. Si tratta di norme d’emergenza che aboliscono ogni forma di diritto. Servono a giustificare tutti gli abusi di potere a margine delle partite di calcio, ma anche durante la settimana, in occasione di manifestazioni di conflitto sociale. Ecco perché bisognerebbe evitare di prestare il fianco a provocazioni. In Italia, nei decenni passati, sono stati repressi e soffocati nel sangue movimenti sociali ben più articolati, motivati e forti degli ultrà. Migliaia di persone incarcerate e costrette all’esilio. E quelli lottavano per una società più giusta. Oggi lo Stato non esita a schiacciare gli ultrà, perché non fanno più comodo allo Spettacolo. Questa situazione di inasprimento si verifica perlomeno dalla fine degli anni novanta del secolo scorso. Bisogna spiegare questo fatto ai ragazzi che si avvicinano oggi al mondo ultrà. Non si tratta di rinnegare il passato, ma soltanto di capire che le cose cambiano. La polizia spara e arresta. È assurdo perdere la vita, la salute e la libertà in un teatrino allestito dagli impresari della settima industria italiana. Un teatrino dal quale ci stanno scacciando via!
Cosa vorreste insegnare ai ragazzi che approdano in curva definendosi ultrà?
Da insegnare avremmo poco. C’è sempre qualcosa da capire e imparare ascoltando i linguaggi delle nuove generazioni. Certamente, bisogna trasmettere le ragioni per le quali in passato si diventava ultrà: l’amore per la propria città, la voglia di essere Altri, il gusto di divertirsi insieme a persone di diversi quartieri. La violenza, lo scontro, la rissa, erano solo delle eventualità da mettere in conto. Ci potevano pure stare. E guai a tirarsi indietro. Ma non erano tutto.
In trasferta partivate tutto il gruppo?
Sì, quasi, ma non eravamo in tanti.
Calcio moderno e pay tv?
È la faccia assunta dall’industria del football nell’era della globalizzazione neoliberista. C’è un vecchio film, “Rollerball”, che meglio di qualsiasi altra metafora, è sempre utile per capire che cosa è diventato il calcio.
Come ha vissuto il gruppo gli anni della B?
I primi anni sono stati meravigliosi. Poi, un’agonia. Perché da quando il Cosenza non fu più un bene comune e da quando venne meno persino la speranza di salire in serie A, il San Vito si svuotò. E per un ultrà, uno stadio senza tifosi è come un cielo senza stelle. Non conta se giochi in terza categoria o in Champions League. Ti deprimi.
Padre Fedele ha avuto un ruolo importante per la storia del calcio cosentino ed è stato privato anche dello stadio…
Su Padre Fedele ho scritto e detto tantissime cose. Le rivendico tutte. È un uomo con i suoi pregi e difetti. Non è un santo. Non è un demonio. Non è uno stupratore. Ha realizzato opere sociali importanti. Anche a me, come a lui, nella vita è capitato di essere diffidato. Allo stadio, in politica, dai giornali, negli aeroporti! Padre Fedele è un “warning”, come me. Mi limito solo ad augurargli un futuro sereno. A lui, a Marcello Spadafora, ai miei fratelli di curva che assistono ogni domenica alla partita dalla collinetta, agli immigrati diffidati dall’essere cittadini europei, alle persone private della libertà e a tutti i diffidati del mondo.
Una retrocessione dolorosa e difficile. Il gruppo come si è comportato?
La tifoseria ha resistito. E non è poco.
Il primo anno dopo la retrocessione nascono due “Cosenza”. Quale avete sostenuto? E perché?
Posso parlare della mia scelta. Perché la Nuova Guardia all’epoca era già sciolta da quasi 15 anni. Quell’anno allo stadio non sono andato. Ho solo partecipato al corteo di protesta. In me ha prevalso l’orgoglio. Una tifoseria come la nostra non poteva scendere ai livelli di una “stracittadina”. È naturale il mio rispetto nei confronti di chi decise di andare allo stadio, da una parte e dall’altra.
Perché la decisione di sciogliere il gruppo?
La Nuova Guardia si sciolse all’inizio degli anni novanta. Lo scioglimento fu un evento spontaneo, ma al tempo stesso il risultato di fatti e riflessioni importanti. Anzitutto, le diffide che ci colpirono dopo il derby con la Reggina. La Digos ci diffidò quasi tutti. Devi pensare che all’epoca non c’era tutto il circuito di solidarietà che si attiva oggi quando la polizia diffida qualcuno. Anzi, in curva c’era pure chi era contento perché finalmente ci avevano tolto dai c… E poi forte fu per noi la volontà di passare a una militanza sociale di strada che diversamente, se cioè iniziative come l’occupazione del Centro Sociale Autogestito fossero state ancora associate al logo NG, avrebbe finito per creare equivoci in curva. Abbiamo preferito adottare la scelta di non diventare “istituzione” ultras. Per una serie di motivi. Perché se diciamo di essere in conflitto con le istituzioni, poi non possiamo diventarlo o, peggio, comportarci come loro o come i partiti politici. Siamo consapevoli che in natura, come nelle relazioni umane, niente è “per sempre”. Le esperienze sociali sono destinate a nascere, crescere e morire, cambiare forme e linguaggi, obiettivi e strumenti. Non possiamo rischiare che qualcuno erediti i simboli e le realtà sociali che creiamo, per poi snaturarle a suo piacimento e quindi trarne profitto. Infine, non si può pensare di essere eterni come Dio, Berlusconi, il Papa, Emilio Fede e la Coca Cola. Sai che rottura di p… Meglio la morte, meglio lo scioglimento!
Nuova Guardia sopravvive nei matti, negli invisibili, nei bambini, negli ultrà, nei ribelli e negli artisti di questa città. Ti pare poco?
Anna Zupi
Cosenza Sport 27 aprile 2009
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