Ma quale “buona scuola”?

Illustre professor Galimberti,
ho letto la sua replica ad una mia collega insegnante che segnalava l’ottusità della riforma scolastica che il governo Renzi si appresta a varare. E per la stima che nutro nei suoi confronti, mi permetto di controreplicare.
All’interno della riforma sono presenti aspetti interessanti e cambiamenti condivisibili. Il riconoscimento dell’importanza di una continuità didattica reale, l’assorbimento del precariato, il superamento del divario tra organico di fatto ed organico di diritto, se non resteranno semplici proclami, rappresenteranno dei concreti passi in avanti per una riorganizzazione funzionale del nostro sistema scolastico. Certo, forse lei concorderà, è davvero bizzarro consultare qualcuno, quando tutto è stato già deciso.
Al di là delle modalità pseudodemocratiche adottate dal governo Renzi in questa consultazione, il documento “la buona scuola” presenta evidenti criticità. In maniera molto schematica, ecco l’elenco.
L’attribuzione ai docenti dei crediti che favoriranno le progressioni di carriera dei più volenterosi, e in teoria ne comporteranno l’aumento degli stipendi, sarà basata sulla formazione. È discutibile che il sistema dei crediti possa funzionare per misurare la progressione nella preparazione di un soggetto, nonché la sua buona volontà nel tentare di migliorarsi. Già in ambito universitario tale sistema si è rivelato controproducente, riducendo le discipline di studio ad uno spezzatino privo di costrutto e senza dimensione d’insieme. Dubito che possa esistere un sistema efficace per misurare la qualità della didattica dei docenti, perlomeno non nel breve periodo. Per capire se un insegnante ha lavorato bene, sarebbe necessario aspettare che i suoi alunni diventino cittadini, impattino con la vita e col mondo del lavoro. Ci vorrebbero anni. Ma a prescindere dalla mia soggettiva opinione negativa sul sistema debiti-crediti e sulla meritocrazia, sarebbe opportuno guardare in faccia la realtà. È noto, infatti, che moltissimi dirigenti attivano i corsi di formazione per favorire le proprie clientele, assumendo “amici” esperti formatori dalle università e dal mondo delle imprese, spesso inventando corsi di aggiornamento su tematiche futili, strumentali ed assurde. E per cortesia non venga a dirmi che il collegio dei docenti potrebbe esercitare un controllo democratico sulle scelte dei presidi. Negli ultimi anni, per effetto di circolari e direttive, gli organi collegiali sono stati privati di poteri e competenze. Allora le chiedo: non sarebbe più funzionale lasciare ai docenti la possibilità di scegliere l’attività formativa da seguire, anche all’esterno della propria scuola, in una gamma di esperienze sociali e culturali? Non si potrebbe includere tra tali esperienze anche la visita di musei e siti archeologici, la frequenza delle biblioteche o il volontariato all’interno di strutture e associazioni impegnate nel sociale? La scuola e il mondo esterno sono speculari. Se l’insegnante non impara a vivere nel mondo esterno, come fa ad insegnare nella scuola? Infatti – lei replicherà – il documento programmatico del governo prevede che “la nuova formazione permanente dovrà fondarsi sul superamento di approcci formativi a base teorica, e dovrà essere mutata invece in un modello incentrato sulla formazione esperienziale tra colleghi, attraverso la creazione di una rete di formazione permanente dei docenti”. Più che condivisibile! Peccato però che poche righe più sotto, la formazione calata dall’alto (quindi potenzialmente fraudolenta) rientri in gioco nel passaggio del testo in cui si fa riferimento al “controllo qualità e certificazione degli enti che oggi erogano la formazione”. Insomma, domando: la formazione avviene all’interno delle scuole oppure continueranno ad imperversare gli stregoni della (finta) formazione che magari non hanno mai visto in faccia un bambino o un adolescente, eppure ci dilettano con i loro pistolotti teorici lautamente retribuiti?
Leggo inoltre che con la riforma Renzi, ai fini della valutazione dell’operato dei singoli docenti, sarà attivato un nucleo interno. Non c’è il rischio che si ripropongano meccanismi partitici e giochini all’italiana? Chi ci assicura che i colleghi del nucleo di valutazione interna agiranno secondo coscienza? In generale, le scuole oggi sono luoghi in cui si coopera poco e dove la collegialità è un’astrazione. Si tende di più a competere e ad estraniarsi, purtroppo. Se si attribuisce a gruppi ristretti il potere di “giudicare” i propri colleghi, in moltissimi istituti scolastici la situazione non finirà per degenerare?
Analoghe considerazioni valgano per il ruolo dei dirigenti. Ce ne sono tantissimi bravi, preparati e corretti. Però altrettanti si rivelano malati di burocratismo, logorroici, sospettosi, insicuri, permalosi, qualche volta persino disonesti. Se la scelta dei docenti da “premiare” spetterà a questi soggetti, allora povera scuola! Oppure dobbiamo per forza allinearci all’ideologia dei manager infallibili, che tanti danni ha già provocato sinora in questo Paese?
A proposito, le risparmio mie considerazioni su uno dei punti nevralgici del piano Renzi, quello dedicato al reperimento di risorse e investimenti privati. Qui il problema non è ideologico. Si può essere liberisti o antiliberisti. Tuttavia, è evidente che intere aree del Paese sono prive di una civiltà d’impresa. Quale investimento nella scuola possiamo aspettarci da “imprenditori” che assumono in nero, sfruttano come sanguisughe i ragazzi… e stringono alleanze con le varie mafie?
In merito poi alle repliche che lei ha fornito alla mia collega, anzitutto mi sembra strano che in Italia chiunque abbia uno straccio di contratto in mano, possa giustamente pretendere di essere retribuito per le attività straordinarie che svolge, ma quando ad avanzare tale rivendicazione sono i docenti scolastici, scoppia il finimondo! Tutti possono battere cassa se devono lavorare dieci minuti in più, tranne noi. In sintesi, non capisco perché dovrei fare il supplente gratis. Sì, dovrebbe impormelo il senso di responsabilità derivante dall’alto valore civile dell’attività che svolgo. Soprattutto, la convinzione che la scuola è un bene comune. Ma allora – mi perdoni per l’eccesso di franchezza – pure lei dovrebbe scrivere gratis per il settimanale de la Repubblica. Perché anche la scrittura è un’attività meravigliosa, e la cultura è fondamento della società. Mi tranquillizzi: non è che per caso lei, come il resto dell’opinione pubblica (ammesso che in Italia ne esista una), ritiene che la maggior parte degli insegnanti siano dei vagabondi, che lavorino poco, bla bla bla ecc. ecc? Ha idea di cosa accadrebbe in un ospedale se, in assenza di un neurochirurgo, in sala operatoria andasse un ortopedico? E allora può immaginare cosa accada in una classe quando un insegnante di italiano sostituisce un collega di matematica. Se invero la riforma Renzi prevede che queste supplenze non si effettuino gratis, bensì rientrino nelle ore da recuperare, allora stiamo consumando invano le nostre tastiere: noi lo facciamo già da anni! Il governo non aggiungerà e non sottrarrà nulla, a parte scaricarci addosso il recupero forzato delle ore che si perdono con le feste patronali.
Per quanto riguarda, invece, la proposta di tenere aperte le scuole fino a sera, e di lasciare che docenti e alunni si autogestiscano, posso essere d’accordo con lei. Tuttavia, ritengo non sia produttivo imporre un siffatto cambiamento dall’alto. Inoltre credo che qui lei pecchi di eccessivo idealismo. Forse negli anni sessanta o nei settanta non era inverosimile prospettare uno scenario simile. Ma oggi, dopo decenni di edonismo reaganiano, berlusconismo tantrico e sterilizzazione dei movimenti sociali, politici, creativi ed esistenziali che hanno attraversato questo Paese, ritiene davvero che nel corpo sociale esistano ancora tanti soggetti talmente maturi da poter far funzionare le scuole dal basso, senza collaboratori, senza responsabili retribuiti, e in assenza di progetti e progettini?
In merito all’apertura delle scuole fino a giugno, non vorrei apparire arrogante, ma guardi che la maggior parte dei docenti è già impegnata fino al 1° luglio ed oltre, nelle commissioni d’esame e in 10mila altre attività che molte scuole deliberano ad inizio anno. E non ci sarebbe nulla di male ad aprire le scuole in luglio, persino in agosto. A patto però che anche a noi insegnanti diano la possibilità di andare in ferie durante il resto dell’anno. Perché lei sa che dal 1° luglio noi “bruciamo” i 32 + 4 giorni di ferie che ci spettano: diritto riconosciuto a tutte le categorie contrattuali a tempo indeterminato, pubbliche o private che siano. Vale a dire dieci milioni di lavoratori in tutta Italia! Per carità, possiamo pure rinunciare ad andare in ferie durante i due mesi estivi, purché ci sia concesso di farlo nelle restanti stagioni. Sì, è vero, rimangono due scandalose settimane libere ad agosto, non coperte da ferie (solo due, perché dal 1° settembre siamo regolarmente in servizio). Io sarei disponibile a lavorare subito dopo ferragosto, a ferie terminate. Ma come la mettiamo col sistema-Italia? Facciamo rientrare le famiglie dalle vacanze? Per capirci meglio, stiamo parlando dello stesso “sistema” che in Emilia Romagna ha imposto a centinaia di operai il rientro in fabbrica a poche ore da una scossa di terremoto. Ricorderà che alcuni di quegli operai morirono sul posto di lavoro per effetto della seconda scossa. Ecco perché temo che la questione dell’uso funzionale, ragionevole, oserei dire “umano”, del calendario e dei tempi di lavoro, non riguardi soltanto il mondo scolastico, bensì l’intera società.
Per quanto concerne, infine, l’organizzazione scolastica, il documento programmatico del governo Renzi appare carente su diverse questioni. Insegno in una scuola media. Mi riferisco quindi al mio contesto lavorativo. Tanto per fare un paio di esempi, forse è arrivato il momento di superare meccanismi obsoleti come le classi e la bocciatura. Se organizzassimo la didattica per dipartimenti e applicassimo (realmente, non solo sulla carta) la modularità, ciascun docente, come all’università, insegnerebbe in un’aula deputata alla didattica di quella singola disciplina, avrebbe di fronte a sé alunni di età diverse, motivati all’apprendimento di ciascun singolo modulo, e rilascerebbe periodicamente certificazioni (non “crediti”) relative al conseguimento degli obiettivi di ogni singolo modulo. Ci sarebbero Italiano 1, Italiano 2 e Italiano 3, Matematica 1, 2, 3 e così via. Ogni modulo corrisponderebbe all’odierno programma di prima, seconda e terza media, nel caso della scuola secondaria di primo grado. Non “crediti”, dunque, bensì programmi e contenuti! Così non ci sarebbe più bisogno di “fermare” un alunno in tutte le materie per un anno, ma ci si limiterebbe a fargli ripetere il singolo modulo negli anni seguenti, fino al conseguimento dell’idoneità alla frequenza dei successivi. Se al termine del terzo anno non maturasse l’idoneità al terzo modulo, pazienza! Passerebbe alle superiori con una certificazione ridotta, ma effettivamente corrispondente alle sue effettive capacità, senza rischiare d’invecchiare tra i banchi o addirittura abbandonarli privo del fatidico “pezzo di carta” in mano.
Di tutto questo non v’è traccia nel progetto governativo. Ci sono molti numeri e tante belle promesse che, alla luce della situazione economica italiana, appaiono come chimere. C’è tanta demagogia per attrarre il consenso di una fetta consistente di Italiani che non vedono l’ora di punire gli insegnanti fannulloni. E c’è un approccio aziendalista che non tiene conto di un fatto semplicissimo: la scuola non dovrebbe essere un’azienda.
Claudio Dionesalvi
newsdicalabria.com  ottobre 2014
NB  altre mie considerazioni, esperienze personali e precisazioni in merito ai nostri effettivi tempi di lavoro, potrà trovare in questo articolo (che le giro anche in allegato).
http://ilmanifesto.info/scuola-se-linsegnante-non-puo-piu-studiare/
La ringrazio e la saluto

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