La tragica storia di Sava

«Sava ha due compleanni: l’8 febbraio ’78 e il 22 aprile ’97. Quel giorno è rinata, perché a Teramo i medici riuscirono a strapparla alla morte».
La signora Ndoya ha gli occhi umidi e singhiozza, mentre racconta la tragica storia di sua figlia. È albanese, ma vive in Italia da due anni. La famiglia Ndoya non ha attraversato l’Adriatico in cerca di lavoro o nella speranza di una vita nuova. In quel gennaio del ’98, l’unico traguardo da tagliare era la salvezza di Sava. Una meta raggiunta grazie anche al buon cuore degli italiani che le consentirono di attraversare il mare con un aereo militare.
Quando arrivò nell’ospedale di Teramo, aveva poche ore di vita. Una settimana prima la 19enne albanese era rimasta vittima di un attentato. A Scutari, ignoti avevano affiancato l’auto in cui viaggiava insieme al fidanzato, sparando all’impazzata. Due dei numerosi proiettili esplosi con una pistola di grosso calibro, si erano conficcati nel suo corpo. Un terzo, diretto alla nuca, si era fermato miracolosamente nel poggiatesta. Il movente dell’agguato non è mai stato ricostruito. Una delle ipotesi avanzate dalla famiglia, creava una luce sinistra intorno all’intera vicenda. La ragazza potrebbe essersi opposta alle minacce di qualcuno che voleva costringerla a trasferirsi in Italia per inserirla in uno dei tanti circoli del vizio, allestiti dalla malavita albanese.
Sava era riuscita a sopravvivere all’attentato, ma bisognava estrarre al più presto il proiettile penetrato nella schiena. L’intervento si presentava molto delicato. I medici albanesi non se la sentivano di operarla con gli strumenti precari a loro disposizione. La famiglia si aggrappò alla speranza di trovare oltre il mare un’ancora di salvezza. Dalla sala operatoria dell’ospedale di Teramo Sava uscì viva, su una sedia a rotelle, ma fiduciosa di riprendere a camminare. Intanto, la permanenza in Italia diventava sempre più difficile per i coniugi Ndoya. Visto dalla Tv, il Paese di Castagna e Berlusconi è pieno di gente sorridente, ma il costo della vita è troppo elevato e proibitivo per una famiglia albanese. Il caso veniva segnalato alla Caritas, che aiutava la sfortunata ragazza, fornendo ospitalità alla madre e punti di riferimento nelle strutture sanitarie. Iniziava un tormentato tour degli ospedali italiani. A Firenze, veniva trasportata per un’infezione che l’aveva colpita ai reni. Poi, un giorno, l’incontro con un coetaneo  e la nascita di una forte simpatia. La famiglia del nuovo amico proponeva a Sava un mese di villeggiatura in Calabria, a Sangineto. Ma all’inizio della scorsa settimana, nell’organismo della giovane albanese il debole equilibrio si è spezzato ed è entrata in coma. I medici non hanno ancora stabilito con esattezza le cause di questo improvviso peggioramento delle condizioni di salute. Tuttavia, una volta esclusa l’ipotesi di un atto autolesionistico, compiuto dalla ragazza in un momento di depressione, pare che i sanitari siano orientati a diagnosticare un caso di tifo, o comunque un’infezione che avrebbe colpito il cervello. Inoltre, la madre di Sava racconta che un medico in servizio sulla costa tirrenica, forse ignaro della vera genesi di quella sedia a rotelle, le abbia fatto assumere valium. Una “terapia” poco opportuna. Sava è stata ricoverata d’urgenza nell’ospedale dell’Annunziata. In Calabria, dove avrebbe dovuto trovare un po’ di serenità, ha ripreso il suo braccio di ferro con la morte.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 15 agosto 1999

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