Crotone in rivolta

Tutto secondo previsioni: dopo diversi mesi di attesa l’Enichem di Crotone voleva chiudere i battenti. Avrebbe lasciato così senza prospettive di sopravvivenza i 333 operai e le loro famiglie. Il ministro Mancino in un suo discorso sull’ordine pubblico, la scorsa estate, aveva preannunciato situazioni di possibile tensione sociale e le conseguenti misure eccezionali da adottare nelle zone di Genova, Napoli e in Calabria. Evidentemente le parole di Mancino non erano una semplice “profezia di Cassandra”, ma il risultato di un’attenta e dettagliata analisi delle zone di crisi. Crotone, infatti, rappresenta da anni una delle maggiori aree a sviluppo ritardato del sud. Lo dimostrano le alte cifre relative a disoccupazione e tossicodipendenza.
Le accuse nei confronti del governo Ciampi e delle sue scelte, caratterizzano ormai una grossa fetta della scena politica e sociale italiana. Sarebbe quindi inutile porre in evidenza le manovre sanguisuga che esso sta adottando contro dipendenti statali ed operai per sanare il deficit. Ma sicuramente è importante, in questa fase, ribadire l’astrusità che risiede nella mente di chi intende trattare intere famiglie sull’orlo del baratro come delinquenti comuni, relegando il problema ad una questione di ordine pubblico. Le false promesse, l’incredibile vicenda della fabbrica fantasma di racchette (che avrebbe dovuto assorbire i licenziati), la scarsa disponibilità a dichiarare lo stato di crisi dell’area e il massiccio intervento dei reparti della celere, non rappresentano certamente possibili soluzioni del problema, ma ricordano il secondo dopoguerra, le terre e i comuni occupati, le fucilate della polizia di Scelba contro le schiene di inermi contadini. Il messaggio degli operai di Crotone è uno dei più alti e significativi dell’ultimo decennio, e potrebbe essere l’inizio di una nuova fase: il risveglio della protesta sociale.
Claudio Dionesalvi
Tribuna Sud Italia, n°12  1993

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