Il suo processo, malgrado si tratti formalmente di «giudizio immediato», è stato rinviato al prossimo anno. Il calvario di Maysoon Majidi, la regista e attivista curdo-iraniana imputata a Crotone con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, continua nei meandri vischiosi della giustizia italiana. Nonostante la scarcerazione, vive ancora in un limbo. Da un lato inizia a conoscere da richiedente asilo e da cittadina libera il nostro paese, dall’altro, il pensiero della sentenza di primo grado (prevista il 5 febbraio) è sempre una mannaia che pende sul suo capo. Anche perché nelle aule penali del tribunale di Crotone il reato ipotizzato a suo carico, meglio noto come scafismo, continua a mietere presunti colpevoli, con grande giubilo della destra.
Dopo la condanna a 8 anni e 4 mesi per Akturk Ufuk, il turco coimputato di Maysoon, per il quale si era proceduto separatamente con rito ordinario, due giorni fa i giudicanti di Crotone hanno condannato, con pene variabili dagli 11 ai 16 anni, i pakistani accusati di essere stati gli scafisti del caicco Summer love che naufragò a un centinaio di metri dalla costa di Steccato di Cutro. Una sentenza contestata dai due presunti scafisti, che alla lettura del dispositivo sono scoppiati a piangere. Nel corso delle varie udienze hanno ripetuto più volte di essere stati semplici passeggeri.
Del processo a suo carico Maysoon preferisce non parlare per ovvie ragioni. Tuttavia la sua storia è la testimonianza vivente della tragedia di chi fugge dalla tirannide per trovarsi imprigionato in «democratiche» galere. Maysoon riceve da tutta Europa inviti da associazioni, università, comitati per i diritti umani e collettivi femministi. Per il momento ha scelto di vivere in Calabria, nella speranza che questa terra, dove è stata ingiustamente detenuta per 10 mesi, possa garantirle la libertà definitiva. Oggi vive con grande apprensione le notizie provenienti dalla Siria. Ancora una volta, a subire attacchi è il suo popolo.
La sua storia è quella di una militante per la libertà e la dignità dei curdi, un’attivista politica per i diritti umani. I turco-jihadisti che negli ultimi giorni hanno occupato la Siria stanno minacciando l’Amministrazione autonoma rivoluzionaria e il confederalismo democratico nel nord. È un piano voluto dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan per inasprire la persecuzione contro i curdi?
Non c’è un solo fronte in Siria, ma ce ne sono due. La Hayat Tahrir al-Sham (che si trova in aree come Homs, Aleppo e Idlib) era precedentemente nota come il Fronte al-Nusra e ora si è alleata con quindici o venti gruppi. Vogliono prendere il potere e attualmente stanno cercando un modo per dialogare con i curdi, non vogliono combattere. Ma c’è un altro fronte a nord (che si trova nelle aree della Valle di Sêrbis e Serê Kaniyê e che ha precedentemente conquistato Afrin) che è chiamato Alleanza Nazionale o Jis al-Watani. Sono sostenuti dalla Turchia e ora hanno formato un governo provvisorio; rappresentano una minaccia per i curdi. Inoltre, in questi giorni il Consiglio Militare di Deir ezZor ha sostenuto le forze Hsd, ovvero i Siriani Democratici, e si è alleato con Tahrir al-Sham. Le relazioni tra curdi e arabi dipendono dai sostegni internazionali da parte di Stati Uniti, Francia e alleati. Se gli alleati si schierano bene accanto ai curdi, la Turchia non potrà minacciare. Ma se non sarà così assisteremo a una grande guerra e a un massacro ancora maggiore.
Quante possibilità hanno le forze curde in Siria di riuscire a resistere all’avanzata turcojihadista?
Le forze curde sono forti sul piano terrestre, ma deboli nell’aviazione. Se non ci sono forze aeree, diventa difficile per loro resistere agli attacchi dei jihadisti poiché c’è uno tsunami jihadista in corso, con decine di migliaia di jihadisti arrivati in Siria, sostenuti da un governo ben preciso, la Turchia. Senza supporto internazionale, i curdi sono bloccati su tre fronti. I confini da tre lati sono occupati e l’unica parte del Kurdistan iracheno è libera. I curdi hanno bisogno del sostegno degli alleati.
Pensa che nel nuovo assetto politico della Siria ci sarà posto per le libertà e i diritti delle donne? Le nuove forze al potere rispetteranno le differenze di genere, quelle religiose e culturali?
I diritti e le libertà delle donne saranno rispettati solo quando le leggi statali includeranno questi standard e saranno progettate e definite in base ai diritti umani e alla democrazia. Tuttavia, le credenze e i valori dei jihadisti salafiti sono chiari a tutti. La domanda è: quanto credono davvero nelle affermazioni che provengono da loro? Fanno promesse come il rispetto dei diritti umani e delle donne, della democrazia, libertà e inclusione. Cose che praticamente tutti i candidati al potere promettono. Ma quanto possiamo essere certi che lo scenario dei talebani non si ripeterà? Anche i talebani parlavano di diritti delle donne, libertà e democrazia, ma il risultato è stato esattamente l’opposto. La Repubblica Islamica dell’Iran è salita al potere cinquanta anni fa con le stesse promesse, ma sin dall’inizio ha cominciato a uccidere e distruggere i suoi oppositori.
Il governo italiano con una circolare ha sospeso i procedimenti di richiesta di asilo dalla Siria. Come giudica questa decisione, peraltro in linea con le altre cancellerie europee? Pensa che la Siria sia diventato davvero un «paese sicuro»?
Purtroppo, nonostante l’aumento delle insicurezze e delle guerre negli ultimi anni, il supporto per i rifugiati diminuisce giorno dopo giorno. Secondo me, ora non è il momento giusto per questa decisione, perché riguarda un’epoca in cui i diritti umani in teoria dovrebbero essere rispettati, ci dovrebbe essere democrazia e regnare la sicurezza e la libertà, con un sistema di democrazia parlamentare stabilito. Ma adesso sta succedendo tutto ciò in Siria? Sicuramente no. Ora, ogni giorno, le persone vengono uccise a causa delle proprie convinzioni. Negli ultimi giorni, nella regione di Manbij, decine di persone sono state uccise a causa della loro religione, essendo alawiti o assiri oppure a causa della loro etnia e della lingua curda. I soldati disarmati sono stati crivellati di colpi. Togliere il diritto d’asilo in un paese che è ancora in guerra e dove la libertà di ogni persona è minacciata, ha qualche nesso con i diritti umani?
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti,
Leave a Reply