La gradinata Nord l’avevo vista dirimpetto, nella trasferta di Genova al seguito del Cosenza, nel primo anno di serie B, il 1989. Ed ero già rimasto impressionato. Mi si era abbarbicata tra le tempie la qualità e potenza dei cori, quel modo tutto genoano di scandirli all’unisono, con precisione e complicità, come solo in Inghilterra avrei visto e sentito poi, negli anni successivi. Rimasi affascinato dall’insolita tipologia umana che brulicava intorno e dentro il “Ferraris”. Nel nord, ciò avviene solo col Genoa e in poche altre città. Il Grifone richiama intere famiglie con sciarpa, bandiera e maglietta; intorno a lui palpita un’estesa e trasversale comunità che pensavo si potesse originare soltanto nelle realtà urbane del sud.
La Fossa è un romanzo di formazione vivente anche per tanti non genoani. Il 4 marzo 1992 vi tornai per Genoa-Liverpool, stavolta nella Nord. All’interno dello stadio, insieme agli altri gemellati, ci piazzammo nel parterre. Un solo aggettivo può descrivere ciò che vidi e sentii prima, durante e dopo i 90 minuti: sublime! Non è un’esagerazione: al termine della partita, uscendo dallo stadio, mi resi conto che la mia zazzera posteriore s’era sollevata. Ero stato nelle prime file. Elettrizzati da quella brezza vocale proveniente da dietro, i capelli mi s’erano drizzati. Il vento sprigionato dai cori aveva creato un campo magnetico capace di spostare gli oggetti, oltre che i cuori e le coscienze. E dopo la partita le orecchie fischiarono per una buona mezzora. Accade solo dopo i grandi concerti rock.
Ho ritrovato in questo libro tanti dei volti conosciuti quella sera e in quegli anni! Leggendolo, ho appreso e gustato le loro storie da stadio, molte delle quali neanche conoscevo. Capita di rado, ma può succedere, che le alleanze fiorite sulle gradinate sfocino in amicizie sincere tra i singoli ultrà. In queste circostanze, i rapporti personali sono talmente autentici che si perde di vista la dimensione rituale curvaiola, quella da protocollo. E si fondono le esistenze, si contaminano al di fuori degli stadi gli orizzonti, i drammi, le sofferenze, gli spiragli di gioia. Si condividono lutti, battesimi e matrimoni, giornate sulla spiaggia e all’uscita dalla sala operatoria. Così è stato, ed è, con i Grifoni.
Arriva per ognuno il momento di rivisitare la propria storia. Quando è una storia collettiva, ci si sforza di ricordare tutti quelli che l’hanno vissuta e animata. Pallonezza o pallonità sono concetti duri da trasferire a chi è refrattario al calcio e alla sua dimensione sociale, artistica, simbolica. Eppure è chiaro che il tifo compenetra la vita. Quando alla rimembranza delle azioni di gioco si mescolano i linguaggi della lotta quotidiana per l’esistenza, quella che s’impone è la pallonità o, se preferite, la pallonezza. Qualsiasi evento individuale si mescola al rito collettivo del tifo. Chi di noi non ha mai associato la memoria di un gol stellare e il ricordo di un’epica trasferta, alla nascita di un figlio o qualsiasi altro evento che abbia segnato la propria vita? Chi può scindere una domenica di scontri o una coreografia in curva, dal volto preoccupato o ammirato di una delle persone a noi care, che a fine partita ci aspettavano a casa come se dovessimo tornare da una battaglia o da una celebrazione religiosa? Ciascuno di questi fatti trascina un florilegio di episodi occasionali, slegati dall’evento calcistico in sé, che si ricompongono proprio grazie alla memoria collettiva e all’oralità cantata della “tribù del calcio”. Scriveva uno dei più grandi poeti del nostro tempo, genovese genoano: “Un uomo senza sogni, senza utopie, senza ideali, sarebbe un mostruoso animale, un cinghiale laureato in matematica pura”.
Allora “Noi siamo la Fossa dei Grifoni” è un flusso tempestoso di narrazione, proteso verso il sentimento e gli ideali. È un testo che emana il desiderio di potersi specchiare in questa storia, tutti insieme. Così, finendo per abbracciare sul piano cronologico e spaziale anche la realtà esterna alla gradinata Nord, ci spinge tutti a specchiarci in essa. Può ritrovarsi a navigare nella marea anche chi non l’ha mai vissuta. Ne scaturisce una storia ventennale che non abbraccia solo gli eventi genoani, bensì l’intero Paese, i suoi drammi sociali e le contraddizioni: l’epidemia di colera a Napoli, l’eroina che invade le piazze, la crisi petrolifera, la guerra civile nell’Italia degli anni settanta. Il Genoa diviene il faro che illumina un’epopea, il suo popolo è guardiano e testimone di quanto vivo e tangibile sia il racconto. La Fossa ha avuto i suoi giganti che le hanno date e prese, ma a differenza di tante altre narrazioni che di recente hanno permeato la letteratura ultrà, questi eroi non sono dipinti come guerrieri privi di empatia. Al contrario, emergono i loro difetti, i tratti paradossali dei caratteri di ognuno, gli aspetti tragicomici delle imprese che hanno compiuto, le vite degli ultimi, di quelli che nessuno forse ricorderebbe, se non ci fosse la Nord. Affiora da ogni singolo paragrafo la frenetica voglia di menzionarli tutti, quei ragazzi. E il ritornello sorge impetuoso, come un vagito, pare di sentirlo esplodere, accompagnando il flusso di memoria: “Aprite le porte oh!-oh! il Grifone va!!!”.
Claudio Dionesalvi
(il libro è acquistabile online su diverse piattaforme)
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