Mimmoli’, le persone, i compagni come te, lasciano davvero un vuoto siderale quando smettono di esistere. Per quel tuo discreto avvicinarti, da gentiluomo, e reclamare ascolto, infondendo parola. Nel verbo orale come nel parlato, hai sempre vissuto con raffinatezza il rapporto con l’utopia. Delicato nella misura dell’umano, impetuoso quando trasognavi possibili capovolgimenti di questo sistema che attanaglia e opprime le nostre esistenze e la natura.
Ti dicevano: “Pinocchio” da ragazzino. La tua spinta a rivelare l’ingiustizia che si annida in ogni trama di potere diventava slancio assertivo, verità distorta, agli occhi degli idioti. Eppure le tue certezze, che sono anche le nostre, nascevano da dubbi. Ché senza interrogare se stessi non si può intravedere la costruzione di un altro mondo. E tu hai sempre avuto questa umile, geniale e gioiosa aspirazione alla ricerca, nell’infinitamente piccolo come nell’assoluto degli astri. L’ironia, la provocazione situazionista, non erano in te espedienti mimetici, condizioni da assumere per darsi un’identità, bensì moti connaturati al tuo essere, elementi costitutivi della tua giornata, come soltanto gli umili e i geni possono rivelarsi.
Pochi come te hanno colto e coltivato i legami tra il presente globale e la storia dei luoghi, le narrazioni popolari. Avete sfidato la banalità a colpi di stilettate razionali. Come quando incontrasti a Roma Pier Paolo Pasolini e gli rimproverasti un eccesso di faciloneria nel costruire l’iperbole dei poliziotti proletari: “PierPa’, guarda che il movimento studentesco non è solo quello che canti nella lirica del PCI ai giovani”. E lui mesto sorrise e annuì, perché comprese che la tua voce non scaturiva dal ventre di qualche sprovveduto, ma dal cogito di un altro poeta. Tale sei stato, Mimmoli’. Un poeta nella sostanza, prima ancora che nelle parole. Nella visione del reale, ti sei divertito a deformarlo, e non perché ti piacesse piegarlo alla tua visione. Lo facevi per gioco ed esperimento, consapevole di quanto multidimensionale possa essere la percezione dell’universo.
Per noi materialisti è arduo pronunciare la parola “spirito”. Con te, invece, può divenire coerente, purché accompagnando il termine con l’attributo. Tale è stato il tuo spirito. Ribelle.
Ha scritto un filosofo a te caro che “la vittoria sarà di coloro che avranno saputo provocare il disordine senza amarlo”. Noi andremo avanti nel segno del tuo cammino. E ci piace sognare che ti sei mescolato alle immagini che la tua scrittura ci ha donato: “La vegetazione , di un ordine naturale, si estendeva fino ai confini della città in un unico teatro verde. Certi alberi dalle cime spoglie stagliavano verso il cielo le loro reti di rami intrecciati. Gli uccelli vi volavano sopra fendendo la calda brezza, alcuni cinguettando e altri gracchiando, come a voler infrangere quella barriera vegetale. E volavano festosi in quella meraviglia di luce che sembrava voler liberare definitivamente l’inverno”. Ti immaginiamo mentre voli insieme a quegli uccelli, in attesa che l’inverno finisca.
Claudio Dionesalvi
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