Alle 20.50 esplode di gioia l’aula 3 delle udienze penali nel tribunale di Crotone. Maysoon Majidi è libera. Dopo nove interminabili ore di discussione, sono rimasti in pochi. Ma tutte e tutti piangono commossi. Persino gli uomini in divisa si chiedevano cosa ci facesse alla sbarra in terra di Calabria questa esile ragazza. L’avvocato Giancarlo Liberati corre a dirlo alla 28enne curda, attivista dei diritti umani, imprigionata da 10 mesi con l’accusa di essere una scafista. La ragazza si è sentita male al termine dell’udienza ed è stata trasportata in una sala attigua, in attesa che si concludesse la camera di consiglio. Appena il suo difensore le ha dato la notizia, ha perso conoscenza per un attimo e subito si è ripresa.
LA LIBERTÀ è stata ottenuta seduta stante, in virtù della richiesta di scarcerazione presentata, già in precedenti udienze, dal legale. Chissà come la prenderanno al tribunale del Riesame di Catanzaro, che dopo quattro giorni ancora non si è pronunciato sulla richiesta di sospensione della custodia cautelare. È davvero un caso di scuola nella storia della procedura penale: la scarcerazione arriva dal tribunale competente in merito, prima ancora che si pronunci il Riesame. È l’ennesimo corto circuito, questa sì una vera «abnormità» di una giustizia capovolta. Pareva che i giudici a queste latitudini avessero timore di decidere.
Eppure Maysoon non aveva alcun interesse alla fuga. In Iran e Paesi limitrofi non voleva e non poteva tornare. Nel resto d’Europa sarebbe stata braccata. Inoltre non avrebbe potuto inquinare le indagini di un processo che volge al termine. Proveniente dal carcere di Reggio Calabria, verso mezzogiorno l’imputata è arrivata in manette nel palazzone di Corso Mazzini. Il suo stato di salute preoccupava. All’udienza del Riesame aveva assistito da remoto, su consiglio dei medici. Ieri ha voluto fortemente esserci.
QUELLA DI IERI era l’udienza del fratello di Maysoon, Rayan, destinatario nei giorni scorsi di un provvedimento «ad orologeria» di espulsione dalla Germania, a pochi giorni dalla deposizione in aula, contro cui ha fatto ricorso. Malgrado ciò, ieri ha risposto in videoconferenza alle domande della difesa, dell’accusa e del collegio giudicante, presieduto da Edoardo D’Ambrosio. Rayan ha ripercorso il viaggio in fuga dall’Iran prima e dal Kurdistan iracheno poi.
Ha raccontato il loro arrivo in Turchia nell’agosto 2023, insieme ad altri attivisti: «Abbiamo pagato 5mila euro per entrare in Turchia come rifugiati. Dopo avere ricevuto i passaporti falsi, ci siamo recati a Istanbul con vari mezzi e macchine. Eravamo in 15 e siamo stati truffati. Ci hanno derubato dei soldi, ci minacciavano, ci facevano violenze continuamente». Infine, ha confermato quanto affermato da Maysoon: i fratelli Majidi hanno dovuto aspettare fino a dicembre per avere i soldi del viaggio in Italia. Sono arrivati grazie alla raccolta fondi promossa dalla loro organizzazione, il partito Komala.
NULLA DI FATTO invece per la citazione di Hasan Hosenzadi. La polizia tedesca non è riuscita a rintracciarlo. Si tratta di una testimonianza che avrebbe potuto scagionare l’imputata, in quanto negherebbe che Maysoon sia stata tra gli organizzatori del viaggio. Il teste è stato rintracciato in passato più volte dalla difesa. Ma non dai nostri solerti inquirenti. È un’altra falla di un processo che stava andando in una direzione contraria allo Stato di diritto. I video prodotti dall’accusa sono stati smentiti; altre riproduzioni videofotografiche documentano che l’attivista era sopra coperta insieme ai migranti. Un’intera famiglia che viaggiava su quella barca, composta da madre, padre e figlia, ieri in udienza ha ribadito che non è Maysoon la scafista.
LO STESSO PRESUNTO timoniere della barca, Ufuk Akturk, ha scagionato la donna. Lo ha confermato anche ieri. Akturk ha dichiarato che i soldi ricevuti da lui sono stati un regalo dei migranti, ma non ha pagato il viaggio. Maysoon dovrà invece attendere il 27 novembre per la sentenza di primo grado, ma intanto per la prima volta può percorrere da libera i viali illuminati di Crotone.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti
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