Adrian ha solo 3 mesi ed è rumeno. Vive in uno dei tre campi improvvisati. L’uomo che mi conduce nella baracca bollente che l’ospita, lo indica intenerito. Dorme. Sdraiato su un lettone. Ci saranno 40 gradi e non è ancora estate.
È da oltre tre secoli che nessuno s’accampava qui, sulle rive del Crati: il fiume che attraversa Cosenza e spiana la vallata fino a precipitarsi nello Jonio, poco distante dalle rovine dell’antica Sibari.
In città il Crati scorre dietro la stazione. I Cosentini hanno rinunciato da tempo a frequentare queste rive. In estate vi fiorisce spontanea una macchia intricata di erbacce. In passato, il Comune provvedeva a ripulire tutto, disboscando la foresta di canneti ed arbusti. Ma nell’ultimo anno, l’amministrazione comunale ha trascurato la pulizia degli argini. E ci si sono insediati centinaia di rom rumeni, regolarmente muniti di documenti europei. All’inizio nessuno se n’è accorto. Poi, nel vicino quartiere popolare di via Popilia, sono cominciate le prevedibili ondate di panico morale: “rubano le lenzuola… hanno occupato la casa di una signora che era andata al mare… fanno l’amore in mezzo alla strada… sfottono le nostre donne… i loro figli puzzano e vanno a scuola con i miei…”. E via, raccolte di firme, telecamere dei media nazionali, appelli, ruspe, mobilitazioni. Effettivamente, la convivenza non era facile. Anzi, impossibile. Se non fosse stato per le associazioni ed i volontari che si sono messi subito in mezzo, si sarebbe arrivati ad una napoletanizzazione della vicenda.
Tra il Pollino e la Sila, il Tirreno e lo Jonio, nella terra degli antichi Brettii, gli zingari si sono stratificati nel corso dei secoli, disseminandosi qua e là a grappoli, tipo cozze. Ma tutti fanno finta di non saperlo. Perché sarebbe amaro ammettere che siamo stati noi a trasformare una piccola parte di loro in agguerriti soldatini e colonnelli della ‘ndrangheta. Allevavano cavalli, riciclavano materiali di scarto, come avviene un po’ dovunque. Adesso una minoranza di questi ex nomadi, dotata di italianissimi cognomi, riesce a far pisciare addosso persino il più dritto dei malavitosi nostrani.
Sono due facce di un problema infinito. I rom di ieri ed i rom di oggi. Quelli, integrati nel peggiore dei modi oppure rimasti ai margini della società, come i Calabresi emigrati in tutto il mondo. Questi, non integrati ed indisponibili a rinunciare alla propria pigrizia, come i Calabresi emigrati in tutto il mondo.
Il problema è che in mezzo ai Calabresi emigrati in America, Australia e Svizzera, come tra i rom di ieri ed oggi in Italia, c’è anche tanta gente rispettosa, attiva e tranquilla. Questa, però, è una verità talmente banale, che è difficile farla passare.
E così, forse per la prima volta nella sua storia, anche sopra Cosenza, città dal grande passato civile e culturale, aleggia lo spiritello dispettoso del razzismo.
Per affrontare l’emergenza, l’amministrazione comunale si è sprecata: ha messo a disposizione ben quattro (4) bagni chimici. Qualcosa di più hanno fatto quelli della Provincia, pressati dai comitati antirazzisti e dal volontariato cattolico. Hanno piazzato un po’ di famiglie in ostello, ma presto i fondi sono terminati e quindi si è tentata la carta di collocarli in alloggi disabitati esistenti nei diversi centri del circondario. Apriti cielo! È scoppiato il finimondo. Interi paesi in rivolta contro gli zingari. Così per un paio di mesi s’è deciso di ospitarli in una struttura missionaria ubicata nel cuore della città. Poi però, di fronte all’immobilismo istituzionale, anche da lì sono dovuti andar via, perché da soluzione temporanea si era trasformata in parcheggio permanente, con i problemi immaginabili in una realtà che ogni giorno deve già provvedere a dare sollievo ad altre centinaia di persone.
Alla fine, sono tornati a vivere sul fiume. Finché nessuna ragazza rom sarà accusata di voler sequestrare un bambino, tutto filerà liscio. In caso questa situazione si verificasse, sarebbe una calamità. Perché quaggiù, per una questione di sopravvivenza, la gente è abituata a guardare il mondo con occhi strabici. Sopravvivono i magistrati che danno la “caccia alla mafia”, ma non hanno ancora individuato un solo livello politico in trent’anni di inchieste e tre guerre di mafia.
Sopravvivono i politici che prima chiedono voti agli “amici degli amici” esternando promesse, e dopo, non mantenendole, piagnucolano nel ritrovarsi la macchina incendiata di notte.
Sopravvivono i poliziotti quando fermano trenta Rumeni irregolari che vanno a raccogliere arance nei campi: li portano nel Cpt, ma si guardano bene dall’andare ad ispezionare la tenuta in cui quei poveracci lavoravano al nero.
Sopravvivono gli abitanti dei quartieri popolari che se la prendono con lo zingaro perché “il Comune gli ha assegnato la casa popolare però se l’è venduta”, ma fanno finta di non vedere che nelle case popolari vivono personaggi loschi che non ne avrebbero diritto.
Sopravvivono i Cosentini: rinnegano i nostri ritmi autoctoni di vita e inseguono l’ossessionante frenesia lavoro-guadagno-consumo che ottenebra tanta umanità nel nord Italia; imprecano contro “gli immigrati che rubano il lavoro ai nostri giovani”, ma fanno finta di non sapere che le agevolazioni ed i finanziamenti pubblici sono finiti nelle tasche di “… prenditori” locali e bottegai che sfruttano i ragazzi del sud riducendoli in schiavitù.
Sopravvivono tanti giornalisti di questo angolo di pianeta, che abbaiano contro l’usura e la malavita, ma consumano le proprie nottate in locali gestiti da mafiosi in giacca e cravatta… ed esperti “cravattai”.
Grazie agli occhi storti, tutti sopravviviamo. E lungo il fiume Crati s’aspetta la prossima mareggiata.
Claudio Dionesalvi
Carmilla on line, 19 giugno 2008
(Rom riciclano materiali in rame e ferro nel quartiere Sbarre a Reggio Calabria)
Leave a Reply