Il guardalinee di là

In cammino verso il santuario di San Francesco di Paola, per il terzo anno consecutivo. Ci muove la gratitudine per l’ennesima imponderabile salvezza raggiunta dal Cosenza Calcio. C’è pure qualche grazia invocata, purtroppo non concessa. La parola “grazie” si può pronunciare anche quando le grazie non si ottengono. Ci sono cammini che si interrompono in armonia con la restante strada che ineluttabile rimane deserta. Ecco perché può risultare cordiale visitare i luoghi sacri proprio quando si stenta a credere nell’esistenza di un Dio. Sono siti concepiti per disvelare le poche oasi presenti nel deserto. La visitazione ci spinge sui passi di chi da qui è transitato prima di noi, al ritmo di anelanti sospiri.
Pasolini vedeva nel calcio una sacra rappresentazione, l’esito moderno di riti ancestrali. Il calcio è solo una delle infinite fedi possibili; come molte altre religioni, si alimenta di speranza, passione, business, paura e potere. Ma anche di ricerca della gioia. A volte nel football i miracoli avvengono: dipendono oltre che dai giocatori e dal pubblico anche dal caos che governa le imprevedibili movenze del pallone. Nel campo della vita ciò non sempre avviene. Non c’è salute che prima o poi non trabocchi in malattia.
La via che decidiamo di percorrere per il santuario è la temibile SS 18, un calvario di incidenti mortali. Di quanto sia spietata questa strada parlano le carcasse di gatti, ricci, topi e pipistrelli mummificati, tra i cespugli che avviluppano il guardrail. E poi ci sono relitti di occhiali che il vento ha risucchiato dai cruscotti di auto in corsa coi finestrini aperti. È come se gli spiritelli dispettosi che popolano la strada si divertano a catturare l’ultimo sguardo fugace dei passeggeri in transito. Sono invece digitali i milioni di occhi che negli stadi di calcio, come ovunque, rilevano e rivelano le tracce lasciate dai nostri sguardi. Così le macchine imparano a prevedere le azioni che ci accingiamo a compiere. Intanto, multiproprietàindici di liquidità e fondi internazionali d’investimento lubrificano gli ingranaggi perversi del gioco e perpetuano l’amplesso tra sacralità e finanza. L’avvento dei fantoken introduce l’azionariato del tifo effimero.
Per fortuna, però, c’è pure il “fuorigioco”, qualcosa che rimane fuori dal gioco. L’off side è metafora di un soggetto agente, rimasto al di là del consentito; è il confine tra vita e aldilà. Al guardalinee ci si rivolge per imprecare o invocare. È lui che ratifica le decisioni arbitrali, a volte le condiziona, in casi estremi addirittura le contraddice. I guardalinee nel calcio sono destinati a estinguersi, scalzati dal VAR. Se non hanno più potere decisionale sul fuorigioco, il loro ruolo viene a mancare. Anche a San Francesco ci rivolgiamo per ottenere clemenza, nella speranza che interceda per capovolgere destini che sembrano segnati. È improbabile che questo nostro gesto così irrazionale si estingua, connaturato com’è all’essenza della vita stessa.
Il Poeta si è congedato da me sussurrandomi: “Mi raccomando, fai sempre tifo”. Continuare a fare il tifo per qualcosa o qualcuno, significa prendersene cura, tenere saldi i rituali comunardi, coltivare la gioia e accettare il dolore, vivere con passione, tinteggiare la ragione di irrazionalità. Eppure quasi mai le parole che i poeti ci donano ambiscono a scolpirci dentro una traccia definita. Piuttosto, sembra che ci invoglino a cercarne tante altre di tracce. “Continuare a fare tifo” dunque non è per forza allusione retorica. Ci sono palloni calciati a effetto, che diretti all’incrocio dei pali, finiscono fuori dalla porta. Baci scoccati per carezzare le labbra, deviati dall’impeto, possono giungere sulla guancia. Non importa dove approdino i baci, i palloni calciati e i versi delle poesie. Valgono i sospiri che li accompagnano.
Claudio Dionesalvi

 

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