Nella “grande Cosenza”, come nel “modello Cosenza”

“Mio Dio, com’è cambiata la città!. Un commento frequente, un vero e proprio refrain. È la prima osservazione che sfiora la bocca degli emigranti, quando riassaporano il paesaggio cosentino. Percepiscono un mutamento che è sì sociale, dei costumi. Tuttavia, ciò che colpisce il visitatore, è anche e soprattutto l’apparizione di moderni e plastici palazzoni. E sono le numerose opere pubbliche impiantate in tempi recenti. Una consistente colata di cemento ha riempito le cellette vuote dell’alveare urbano. La variante al piano regolatore, concepita e approvata sotto il ciclo Mancini, ha dato ossigeno al settore nevralgico dell’economia bruzia: l’edilizia. Ma con quale ricaduta sulla qualità della vita?
Dalla metà degli anni novanta ad oggi, i cantieri si sono imposti un po’ ovunque. È un dato in controtendenza rispetto al restante panorama regionale. A Cosenza le gru spuntano come funghi, sono giganteschi mostri, buoni, con un’unica gamba e tanti cervelli. Sotto le possenti braccia dei sollevatori meccanici, i progetti diventano realtà, ma si consumano anche conflitti tra interessi contrapposti.
Uno sguardo ai numeri offre la visuale migliore. Nel ’95 per comprare una casa bisognava spendere in media un milione e 800mila al metro quadro. I cosentini traslocavano in massa verso quartieri, zone periferiche e centri limitrofi: Rende, Andreotta, Vadue, Marano e Mendicino. Oggi l’emorragia dei residenti sembra arrestarsi. E per acquistare un fazzoletto di pavimento, la somma oscilla dai 2.200.000 ai 2.500.000. Quasi in linea con la media nazionale. Nel triennio ’96-’99 sono state rilasciate concessioni per edificare 350mila metri cubi di cemento. Una cifra ovviamente lievitata negli ultimi due anni. Tuttavia, gli esperti di Palazzo dei Bruzi, sottolineano che per effettuare un computo realistico, bisogna sottrarre a questo dato i volumi dei vecchi fabbricati, abbattuti per fare posto ai nuovi. Il numero magico è 300 miliardi: se è tale l’incremento del patrimonio immobiliare privato dall’inizio delle grandi manovre, il Programma di Recupero Urbano, in questi giorni allo studio, ne prevede altrettanti. E anche la spesa per costruire le principali opere appaltate dal Comune, si aggira intorno ai 300 miliardi. L’antico piano regolatore rendeva sconveniente la pratica dell’esproprio. Gli indici di fabbricabilità non erano come quelli attuali. E la normativa vincolava le amministrazioni: se entro cinque anni non edificavano sui terreni rilevati, perdevano il diritto di farlo.
Con la variante varata sul crinale del decennio scorso, la musica è cambiata. Il Comune concede ai costruttori le concessioni, in cambio di un rapporto di collaborazione. “Puoi fare il palazzo, ma devi realizzarmi anche il marciapiede o le panchine”. È così che a Cosenza si è imposto il modello “Cecchino”. I Principe, su Rende, hanno adottato infatti la medesima strategia. Così anche nel capoluogo abbiamo visto spuntare  piccole torri di cemento ovunque: Bosco de Nicola, via Negroni, via Lazio, imbocco autostradale Cosenza sud, Serra Spiga, via Muzzillo, sul nascente viale parco e in via Popilia. Un analogo feeling si è registrato nell’edilizia pubblica. Due esempi? L’ex mercato ortofrutticolo di Via Rivocati e i parcheggi con il centro commerciale di piazza Matteotti. Qui le imprese hanno assunto la compartecipazione sull’attuazione dei progetti. In sostanza  il loro ruolo non s’esaurisce con la consegna dell’opera, ma si estende anche alla parziale gestione futura delle strutture. Ed è prevedibile che questa formula si riproporrà nel momento in cui i cantieri sorgeranno nelle aree periferiche. Sta per scattare, infatti, la seconda fase della variante. Quella, per intendersi, rivolta alle classi più agiate, a chi preferisce abitare in ville singole o in fabbricati monofamiliari. Edificazioni di questo tipo sono previste sui colli, a Muoio, Guarassano e Tenimento. E potrebbero sorgere sulla zona di Gergeri, una volta abbattute le case dei rom che saranno trasferiti nei villaggi in fase di ultimazione.
È scontato che i quartieri della cintura ad ovest vivranno una trasformazione per certi versi violenta. Le villette di lusso muteranno il panorama. Dall’aperta campagna, al rione fortificato. Cosenza si allargherà sui suoi fianchi. Forse, la smetterà di crescere in direzione nord. Il recente maquillage di Piazza Principe di Piemonte, meglio conosciuta come Palazzo degli Uffici, testimonia una volontà di spezzare la fuga urbanistica verso settentrione. Il volto finale del cuore di Corso Mazzini, a differenza di quanto accaduto davanti al Duomo, non ha provocato le critiche dei cosentini. Rischia di suscitare nuove polemiche, invece, il viale parco. Gli ambientalisti insistono: ci saranno le paventate piste ciclabili e la striscia di verde, oppure diventerà una mostruosa autostrada interna?
Non sarà facile avere risposte in tempi brevi. Di certo, il cemento continuerà a colare. Nella “Grande Cosenza”, come nel “Modello Cosenza”! E non è detto che produrrà nuova ricchezza. Lo sanno bene i sindacati, che denunciano da anni un dato allarmante: nei cantieri cittadini l’80 per cento del lavoro è al nero. Gli investimenti, pubblici e privati, non hanno generato una civiltà d’impresa. Al contrario, è opinione diffusa che il recente esplodere del conflitto armato tra le bande criminali della città, sia collegato proprio agli interessi sul settore edilizio. Il racket riscuoterebbe le tangenti, concentrando tutte le sue forze sulla gestione dei subappalti. Vista sotto questa luce, la crescita urbanistica degli ultimi anni appare inquietante. E pone una domanda sulla quale si dibatterà a lungo: l’attuale sviluppo della città è a misura d’uomo?
Claudio Dionesalvi
Comunarda, giugno 2002

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