Viaggio nella gialla città di luglio

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T’accorgi che il tempo è passato solo quando la città inizia a parlarti senza che la interroghi. Sono le assenze a riempirtela. Ogni singolo frammento d’asfalto, pietra, cemento, ti racconta più d’una storia: vite passate, vicende sovrapposte, esperienze stratificate.
Lì dove di solito vedi la tua bimbina uscire da scuola, giocavi a calcio tra macchine in un parcheggio coi figli del quartiere popolare che mamma ha voluto ti educassero al rispetto e alla strada.
Più su, inarcati gli occhi a penetrare l’ascella del vecchio edificio a forma d’ascia, Ernesto che di cognome non faceva Guevara ma del “Che” avea il coraggio nottetempo rimase appeso alla scala inerpicata sulla finestra che sfondata ci avrebbe aperto la via dell’autogestione, mentre miope la digos passava di vedetta e non s’accorgeva che tutti eravamo in fila con le teste a schiera occultate dietro un muretto.
Paoletta è divenuta lupa eretta a monumento, le querce della Villa Vecchia mute mi proiettano papà che goffo e felice insegue un Super Santos, la kebabberia al posto dei suoni Pac-Man della Matriarca di Massimino e due ragazzi pomicianti ancora sulla scaletta del primo bacio. Nella spianata della vecchia stazione traslate le colombe che chiamiamo aquile dall’affacciata di nonna Rosa con zio Torquato sul balcone che allegro e dispettoso m’indica la Sila.
Il viale scorre sul binario rimosso dove dalla cancellata divelta Lory in quegli anni libera d’entrare in minigonna a scuola mi planava tra le braccia.
Piani e ripiani accatastati l’un sull’altro in un paesaggio che muta corso come le foci di fiumi capricciosi e illusori del genius loci.
E le lacrime che iniziano a versarsi senza preavviso e bagnano la tastiera e la plastica che morbida si flette.
Appena mi sporgo sulla confluenza d’antico e presente ti rivedo, Toni’.
Il volto tuo è l’unico che aleggia senza lasciarsi assorbire, senza strato divenire. Come quei ragazzini che da bambino mamma volle m’indicassero la via, hai insegnato che rimanendo in basso con dignità si può parlare con voce delicata, consapevole e profonda, con gentilezza, umanità.
Grazie anche a te possiamo camminare liberi e desiderosi di vivere sempre nuovi strati di asfalto, senza nostalgia.
Claudio Dionesalvi
(DEDICATA a un partigiano di nome TONINO MARINO)

 

“Uno straccetto rosso, come quello arrotolato al collo ai partigiani e, presso l’urna, sul terreno cereo, diversamente rossi, due gerani. Lì tu stai, bandito e con dura eleganza non cattolica, elencato tra estranei morti: Le ceneri di Gramsci… Tra speranza e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato per caso in questa magra serra, innanzi alla tua tomba, al tuo spirito restato quaggiù tra questi liberi”.

Pier Paolo Pasolini

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