I rom di Lamezia: allegria e povertà

Poveri ma allegri gli zingari di contrada Scordovillo. Da quando qualcuno ha promesso a quei circa 800 cittadini di etnia rom una casa, sono passati centinaia di treni sul binario malconcio che scorre dietro la baraccopoli.
Fiumi di carta, raccolte di firme, proteste della “società incivile” e servizi radiotelevisivi hanno bloccato la costruzione dei nuovi insediamenti prospettati dall’amministrazione comunale. In giro non si parla più delle case per i rom, che dovevano sorgere a Savutano, Scinà e Capizzaglie. Tuttavia, pare che il Sindaco Lo Moro abbia intenzione di ricevere una delegazione di zingari nell’ultima settimana di gennaio. Cercherà forse di riprendere il filo di un discorso spezzato. Impresa difficile, quella della prima cittadina. Dovrà fare i conti con le assurde paure della società delle emergenze.
Non c’è un solo lametino disposto ad ammettere pubblicamente di essere razzista. Però gli zingari nessuno li vuole nel proprio quartiere. Forse, dietro la finta paura che possano andare in giro a rubare, si nasconde qualcosa di più profondo. Gli zingari hanno usanze troppo somiglianti a quelle dei calabresi del secolo scorso. E non c’è cosa più difficile da accettare che l’immagine del proprio passato rimosso, fatto di povertà e riti tribali. I rom, comunque, una dignità ce l’hanno. La cosa che colpisce è l’incredibile senso di ospitalità. I profumi delle loro mense tagliano l’aria e riportano alla memoria sapori di un’antica cucina: rape e salsiccia, peperoni e patate. Tra una casa e l’altra, i falò restituiscono alla vista quell’idea di comunità, che ormai in Calabria sopravvive solo nell’entroterra. Il fuoco è calore per i più anziani e gioco per i bambini, che trasportano i tizzoni ardenti nelle carriole. Le donne fanno il bucato a mano. Verso l’una si vede passare il furgone dell’associazione “La Strada”. Sono operatori che portano a scuola i ragazzi. Quando si aprì il dibattito sull’opportunità di dare finalmente una casa ai rom, quelli della “Strada” furono gli unici a comportarsi in modo intelligente. Qualcun altro, invece, fece solo una gran confusione, impegnatissimo come sempre a fare grandi dichiarazioni, ma poi poco disponibile a calarsi concretamente nella vita dell’accampamento. Oggi è attiva la prima cooperativa che impegna anche giovani rom. Si chiama “Ciarapanì” (che significa “tenda”, “copertura”, “ombrello”) e si occupa di riciclaggio, servizi e attività programmate in un corso di formazione. Alle spalle del villaggio troneggia il nuovo edificio della Questura. Edilizia pubblica costata una manciata di miliardi, che altera il paesaggio come la panna montata sull’insalata di pomodori. La storia della comunità viene raccontata da Ziu Rocco: “Compravamo e vendevamo cavalli. Siamo arrivati qui decine di anni fa”. Adesso le macchine hanno sostituito i cavalli. E nel quartiere arrivano anche le bollette dell’Enel. A dispetto delle apparenze, si sta verificando un calo demografico. Nell’87, sono state registrate 35 nascite, contro le 11 del 1999. Per Capodanno nel villaggio è stata organizzata una sfilata allegorica. Due manichini, simboli dei santi Cosimo e Damiano, hanno attraversato le baracche. L’allegria non manca mai a Scordovillo. E la solitudine non esiste. L’unico grande assente è il futuro.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 19 gennaio 2000

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