«Ma voi mi vedete che faccio una concussione, che prendo le mazzette o che governo Riace come un dittatore, proprio io che da sindaco facevo la fila negli uffici pubblici come tutti i cittadini?». Il giorno dopo, Mimmo Lucano è turbato. Una sciabolata al cuore di Riace e della sua storia di accoglienza. «Condannare Lucano a 7 anni e 11 mesi». La richiesta dei Pm di Locri è arrivata nella sera di lunedì.
«A Riace comandava Lucano che era il dominus assoluto», «la finalità dei progetti di accoglienza era creare sistemi clientelari per un tornaconto politico elettorale». Tra la Riace criminale dipinta dagli inquirenti di Locri e la Riace solidale presentata da altre (e alte) corti c’è una distanza siderale. Tuttavia la richiesta è arrivata ed è una batosta. Cosa risponde?
È un brutto film. Si vuole criminalizzare la solidarietà. In tutti questi anni da sindaco non mi sono reso conto appieno che quel che facevo era più grande di me. Eravamo diventati inconsapevolmente dei modelli. Eravamo la sinistra che realizzava le utopie e dava fastidio. Davamo speranza a chi cercava un riscatto. Tuttavia mi confortano le sentenze delle magistrature superiori. A partire dalla Cassazione: sulla revoca delle mie misure cautelari ha stabilito che l’affidamento della raccolta differenziata a Riace è avvenuto secondo le norme.
Per continuare con le sentenze del Tar Calabria e del Consiglio di Stato sull’illegittimità della chiusura dello Sprar e del trasferimento forzato dei migranti da parte del Viminale. E infine il Riesame di Reggio che ha definito “inconsistente” il quadro giudiziario, denunciato l’assenza di riscontri alle conclusioni della Procura perché fondate su “elementi congetturali o presuntivi”. Malgrado ciò, l’accusa è proseguita nel riproporre ipotesi di reato già invalidate. E lo stesso dibattimento ha suffragato le nostre tesi. A gennaio il super teste (Francesco Ruga -ndr) durante il controesame ha dovuto ritirare l’accusa di concussione contro di me riconoscendo che non lo avevo mai minacciato. È lo stesso teste che già nel 2018 il Gip aveva dichiarato inattendibile, accusando la Procura di essersi fidata delle sue parole senza approfondire. Ma tutto questo non ha colpito per niente il Pm, che anzi ha ribadito l’attendibilità di Ruga.
Il Ministero degli Interni prima le chiedeva con insistenza di supportare le politiche di accoglienza pressandola per ospitare altri migranti, adesso però si costituisce parte civile e tramite l’avvocatura dello Stato ha chiesto un risarcimento danni da 10 milioni agli imputati e una provvisionale di 2 milioni.
Intanto preciso che la richiesta è di 35mila euro. In ogni caso è vero che in tutti questi anni il Viminale ha prima fatto pressioni su Riace perché sapevano che avrei collaborato, tanto che mi chiamavano “San Lucano”. Per poi arrivare a questa incredibile costituzione di parte civile.
Se invece di accettare i rifugiati che mi mandavano, avessi detto di no, oggi magari non sarei sotto processo. Inevitabilmente però queste pressioni comportavano anche scorciatoie: con quei numeri, e quei tempi stretti, quando i pullman carichi erano praticamente già nella piazza del paese, come avrebbe potuto il Comune bandire gare pubbliche per l’assegnazione dei servizi? Per questo a Riace sono nate varie associazioni e cooperative, per riuscire a far fronte alla necessità di ampliare i servizi. Nel processo però queste assegnazioni dirette sono diventate imputazioni di reato. Insomma, Riace veniva usata per risolvere l’emergenza, dopodiché è stata messa sotto processo con l’accusa di averla risolta in modo emergenziale.
La Procura sostiene che Lei ha costruito tutto il modello Riace per ottenere benefici politici. In realtà la sua candidatura alle regionali è maturata solo quattro mesi fa. È un attacco pretestuoso? Qualcuno ha paura che le cose possano cambiare in Calabria?
Nella mia vita non mi sono mai candidato a niente al di fuori di Riace. Avrei potuto presentarmi per il Parlamento europeo, ma ho rinunciato al possibile seggio e anche alla relativa immunità parlamentare. Spero solo che non si tratti di una sentenza politica.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti
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