«Vuoi essere assunto? I contributi te li paghi da solo!»

Lavoro nero, precario, sommerso, sottopagato: una condizione di sfruttamento che riguarda quasi tutte le persone occupate nel settore privato in provincia di Cosenza. Le stime fornite, qualche anno fa, da un rapporto dell’Inps, parlavano di una situazione di illegalità generale: esercizi commerciali, piccole aziende, agenzie di servizi, assumono giovani dipendenti in cambio di uno stipendio da fame, non versano i contributi previsti da leggi e contratti, licenziano senza esitare, pretendono prestazioni disumane e costringono le persone a sottostare ad enormi ricatti. In questo scenario “sudamericano”, le diverse ricette avanzate da industriali e politici di mestiere, si rivelano donchisciottesche, inopportune, fuorvianti, completamente estranee al contesto territoriale. Parole d’ordine come “Riduzione del costo del lavoro” oppure, all’opposto, “Riduzione dell’orario lavorativo a 35 ore”, diventano del tutto surreali per il giovanissimo garzone del bar o la commessa del negozio d’abbigliamento di corso Mazzini, che guadagnano 500mila lire al mese e sono costretti a lavorare anche 50 o 60 ore ogni settimana.
«Vuoi essere assunto? Allora firmi cambiali o ad ogni fine del mese versi una consistente parte dello stipendio all’impresa, che per sfuggire ai controlli, versa i contributi strappandoli dalle tasche del lavoratore».
La denuncia arriva da un lavoratore socialmente utile di Cropalati, in provincia di Cosenza, che ha partecipato alla manifestazione svoltasi ieri a Roma. Le sue dichiarazioni sono state avallate dal parlamentare verde Paolo Cento, il quale ha detto di aver ricevuto numerose segnalazioni di casi del genere e ha annunciato che sull’argomento presenterà un’interrogazione. Il racconto del giovane precario di Cropalati ha impressionato i cronisti, richiamando l’attenzione delle agenzie di stampa nazionali ma in realtà riflette quella che in Calabria è una vera e propria consuetudine: i lavoratori sono costretti a versare gran parte dello stipendio per ottenere l’assunzione.
L’intervista cita l’esempio di Rossano, «dove lavoratrici assunte alla Standa percepirebbero solo 500 mila lire di stipendio», un dato da verificare, ma comunque allarmante; una condizione comune a decine di migliaia di giovani calabresi costretti a bruciare il proprio tempo in mezzo alle aride mura di una squallida condizione lavorativa. Eppure, da più parti, i sedicenti “soggetti sociali” si ostinano a ribadire che bisogna inginocchiarsi davanti a chi decide di investire in Calabria. Sempre ringraziare. E guai a chi si lamenta!
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 6 marzo 1999

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