«Massimo non è morto di edema»

Avvolto nelle lenzuola insanguinate, con un paio di lividi sul collo ed un fisico consunto e dimagrito. Si presentava così il cadavere di Massimo Esposito, il ventitreenne cosentino morto nel carcere di Lecce il 30 novembre ’97. Il giovane era stato arrestato, perché ritenuto responsabile di una tentata rapina. Nei giorni successivi alla sua scomparsa, la famiglia aveva sollevato pesanti dubbi sulle cause del decesso, alimentando le voci secondo le quali Massimo sarebbe rimasto vittima di un pestaggio o un’aggressione all’interno della propria cella. Le indiscrezioni trovarono una prima conferma nelle dichiarazioni rilasciate dal legale Alessandra Viterbo, che ha seguito il caso sin dall’inizio, su richiesta dell’avvocato Tommaso Sorrentino, nominato dalla famiglia Esposito. «Ho incontrato Massimo durante il suo interrogatorio – aveva detto la dottoressa Viterbo – solo quattro giorni prima che morisse. Sudava, era pallido e rifiutava il cibo. Aveva deciso di fare lo sciopero della fame, ma nessuno lo ha soccorso».
Gli aspetti oscuri della vicenda non sono stati chiariti neanche dopo i risultati dell’autopsia, eseguita dal medico leccese Angelo Del Basso, e depositata il 27 ottobre scorso, a quasi un anno di distanza dalla notte in cui Esposito perse la vita. Secondo l’autore della perizia, il ragazzo sarebbe stato stroncato da un edema polmonare acuto. Inoltre, nel referto si faceva riferimento ad una presunta forma di epilessia che avrebbe contribuito a renderlo più debole. È stato proprio quest’ultimo particolare ad insinuare nuovi sospetti nella famiglia Esposito. «Massimo – aveva commentato la sorella Loredana – era sanissimo e non è mai stato epilettico. Il risultato dell’autopsia non mi convince. Comunque, rimetteremo tutto nelle mani del dottor Franco Fagiano, il perito di parte, che dovrà esprimere una valutazione della perizia effettuata dal suo collega. Siamo decisi ad andare fino in fondo, perché ancora oggi tutta questa storia rimane avvolta nel mistero».
Le indagini sulla morte del giovane detenuto, che all’inizio erano di competenze del procuratore Laura Liguori, sono passate successivamente alla dottoressa Maria Cristina Rizzo. Decisa a scoprire la verità, in attesa di conoscere i risultati del lavoro svolto da Fagiano, Loredana Esposito ha provato a sottoporre la perizia redatta dal leccese Del Basso all’attenzione di alcuni specialisti cosentini, che in cambio della garanzia dell’animato, hanno accolto la richiesta di pronunciare un parere sui primi risultati dell’autopsia. Pesanti dubbi sarebbero stati espressi sulla validità scientifica di alcune analisi, verbalizzate nel referto originale. In particolare, le perplessità sono nate circa le macchie di colore giallo, riscontrate sulla pelle del ragazzo. E proprio ieri, dal Salento è piovuta una nuova inquietante ipotesi: Massimo potrebbe essere stato eliminato, perché in possesso di informazioni pericolose. Se confermato dall’esito del secondo esame autoptico, il fatto sarebbe di una gravità inaudita e getterebbe una luce sinistra sugli ultimi giorni di libertà di Massimo. È noto, infatti, che Esposito non era affiliato alle organizzazioni criminali, né tantomeno era ritenuto un elemento di spicco della malavita. La storia di “Nanà” – così lo chiamavano gli amici cresciuti con lui in Via Popilia – era identica a quella di tanti altri giovani che, privi di ogni opportunità, scelgono di percorrere strade insidiose, pur di ritagliarsi uno spazio e darsi un’identità.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 18 febbraio 1999

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