A Genova si è segnato il punto più basso della democrazia italiana. Ma ancora oggi diamo la colpa alla vittima.
Lo scorso diciannove luglio, come ogni diciannove luglio, mi sono svegliato con in testa Zeta Reticoli dei Meganoidi, la canzone che il gruppo aveva dedicato ai fatti di Piazza Alimonda. Quel testo, indubbiamente più criptico rispetto ad altre canzoni sull’argomento, ha mantenuto sempre un posto privilegiato nel mio cervello.
You know, falling in illusion.
La caduta in un’illusione è quella che è stata riservata dalla narrazione dei media a noi, all’epoca bambini, nei giorni delle proteste al G8 di Genova: chi, come me, veniva da una famiglia di stampo grossomodo democristiano, ascoltava con terrore le idee dei No Global, dipinti come cattivoni che volevano cambiare quel mondo che tanto bene ci stava facendo.
Ricordo ancora il terrore dipinto sugli sguardi di mia madre quando, l’anno successivo, venne annunciata una manifestazione della stessa organizzazione a Cosenza per protestare contro l’arresto di alcuni compagni, fra i quali Claudio Dionesalvi. Non andammo a trovare né mia zia, né i miei nonni perché il corteo passava dal centro e di questo fui incredibilmente arrabbiato, perché se a un bambino levi il giorno dai nonni vuol dire che te lo costruisci per nemico a vita. Invece non solo oggi mi fregio della stima (me l’ha detto lui, mica me lo dico solo) di Claudio, ma posso considerarlo (questo invece lo dico io) amico. Ma come ci siamo arrivati?
Ma seriamente potevo avere paura di Claudio?
La narrazione giornalistica televisiva di quei giorni fu un completo disastro: con Berlusconi come Presidente del consiglio, infatti, almeno quattro reti su sei difendevano la scelta di Genova come città per il G8 ed attaccavano i No Global, gli sporchi No Global, i brutti No Global. Come Carlo Giuliani.
Carlo non era soltanto una persona fiera delle proprie idee. Carlo era un ragazzo di vent’anni. Era figlio di un padre e di una madre che l’hanno visto uscire e poi l’hanno visto cadavere. Era esattamente quello che sarei diventato io alla sua età, una persona che sognava un mondo migliore. Solo che lui si batteva, io al massimo scrivo pensieri sparsi sperando che li legga qualcuno. E questo lo rendeva indiscutibilmente un ragazzo speciale rispetto alla media.
In quelle foto dell’estintore, preso quando già gli viene puntata la pistola alla testa, c’è la rabbia di una generazione che si è sentita tagliare fuori da un processo, quello della globalizzazione, arrivato troppo in fretta e senza preavviso. Carlo non ci stava. Claudio non ci stava. Loro lottavano in prima fila, ma (per quanto ne sapevamo), Carlo e Claudio erano quelli sporchi, brutti e cattivi che volevano cambiare il mondo e non farmi andare dai nonni.
Il racconto del “ragazzo-che-tira-l’estintore” è arrivato fino ai giorni nostri nonostante le prove fotografiche. Il racconto del “teppista-che-se-l’è-cercata” continua a imperversare nello Stivale. L’altro giorno leggevo dei commenti sotto le foto di Carlo: la narrazione è sempre la stessa. «Se fosse rimasto a casa sua», «Se avesse protestato pacificamente», «Se non avesse preso l’estintore». Chi ha partecipato a proteste di piazza, e non chiedete a me che il massimo che ho fatto è stata una manifestazione contro la Gelmini, lo spiega sempre: le forze dell’ordine non vanno mai per il sottile, quando si tratta di difendere l’ordine costituito. Dovreste essere dalla nostra parte, non dalla loro. Carlo stava protestando per un mondo migliore, anche per voi.
Mi viene in mente, oltre a Zeta Reticoli, la stupenda Canzone del maggio di De André: «Anche se adesso/ve ne fregate/voi quella notte/voi c’eravate». Quanto accaduto con Genova è un meccanismo di rimozione totale: tutti, o quasi, stavano contro i No Global, compresi tanti che oggi si battono il petto in ricordo di Carlo. Compreso me, che dopo vent’anni mi ostino a scrivere quelle sei, semplicissime parole: «Carlo vive, i morti siete voi!». Sì, ma io avevo paura di loro.
Perché Carlo si batteva per un mondo migliore, mentre ci eravamo illusi di vivere nel migliore dei mondi possibili, per citare una bellissima storia di Paperino. Ed oggi, che manca il lavoro per tutti e il pane per molti, forse ci siamo resi conto che quelli sporchi, brutti e cattivi che volevano cambiare il mondo stavano dalla parte giusta della storia. Come ho letto un po’ di tempo fa, «Il dito indicava la globalizzazione, e avevamo ragione, ma voi avete visto l’estintore». Scusatemi, se potete.
A Carlo, per sempre in prima linea. Per sempre ragazzo.
Francesco La Luna
tratto da:
https://medium.com/@francescolaluna_9299/a-carlo-per-sempre-ragazzo-6af97513d8a2
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