Scriveva Antonio Gramsci dal carcere: “Quando tutto è o pare perduto bisogna rimettersi all’opera e ricominciare dall’inizio”. Mimmo Lucano fa suo il pensiero del filosofo comunista e torna alla Riace delle origini. Dopo il frantoio sociale e l’ambulatorio popolare, riattivati nel corso dei lunghi e difficili mesi antevirus, passata la crisi pandemica ora è il turno della vecchia forgia di mastro Bruno. Egli nacque a Riace, da una famiglia di Serra San Bruno, trasferitasi nella Locride agli inizi del novecento. Qui aprì la bottega artigiana. Lavoravano e modellavano il ferro, realizzavano pentole e utensili per le cucine, costruivano e riparavano i ferri dei cavalli e degli asini. La nuova utopia di Lucano è quella di rimettere in funzione la forgia, consentire riparazioni e lavorazioni dei metalli, rimettere in moto una qualche forma di economia circolare.
Per poi alla fine invitare Gerardo, maestro orafo crotonese, e Totò, esperto stagnino di Gioiosa Jonica, che impartiranno lezioni ai ragazzi rimasti a Riace. Malgrado l’ostracismo del sindaco in carica, il leghista Tonino Trifoli, decaduto in quanto ineleggibile, ma ancora saldo al suo posto in attesa del completamento dell’iter giudiziario, il vecchio sindaco non demorde. Coadiuvato dalla rete Cosenza Solidale, Lucano vuol coronare così uno dei suoi tanti sogni “impossibili”. Sono giornate di lavorio intenso al di là dell’arco che introduce al Villaggio Globale, la zona rimasta liberata nel centro storico del paesino jonico. Il viavai dei cooperanti, a tratti, illumina il grigiore che qui come ovunque, nel mondo, ormai caratterizza i giorni post lockdown. Artisti di strada improvvisano dinamici giochi con i bambini, cooperanti dell’associazione “La Terra di Piero” e di altri collettivi, centri sociali e gruppi ultrà cosentini, trasportano materiali per la ristrutturazione degli antichi locali della forgia, mentre un gruppo di rifugiate decora le treccine di adolescenti e donne mature. Dalla cucina popolare emergono odori di ricette calabresi e aromi transcontinentali. In serata si cenerà tutti insieme, nella piazzetta. Ogni tanto dalle stradine spuntano registi, poetesse, scrittori, amici e compagni del vecchio sindaco.
Propongono serate culturali, festival, eventi. Ci si confronta sulla fattibilità di ogni iniziativa, nel rispetto delle prescrizioni anti-Covid. Tre artisti calabresi, Antonino Perrotta e Francesco Cirillo di Diamante e Simona Ponzù Donato di Lamezia Terme, spalmano murales. Dipingono il muro del Frantoio sociale di Riace. Ritraggono scene di lavoro nei campi, il raccolto delle preziosissime olive che da secoli rappresentano l’oro di Calabria. Un trillo digitale annuncia l’arrivo di un messaggio sul cellulare di Lucano. Mittente: Vinicio Capossela, rimasto folgorato dall’ultimo aforisma che Mimmo ha deciso di affidare ai social: “Vale più l’uomo della sicurezza dell’uomo”. Lui sorride e riprende ad accompagnare gli ospiti nel tour collettivo per le antiche stradine. La mente torna ai progetti troncati due anni fa dall’inchiesta giudiziaria della procura di Locri. Nessun rancore, ma nemmeno ansia verso le imminenti udienze dei processi che si stanno celebrando. Dal versante nord, dalla scarpata in cui sorge la fattoria eretta sui terreni di una discarica bonificata a mani nude, ogni tanto il potente ragliare degli asinelli impazienti sembra voler indicare che insieme a Mimmo imputati sono anche loro.
Lucano li osserva e rievoca la notte in cui la Guardia di Finanza irruppe qui per arrestarlo. In quei minuti, all’alba, prima d’essere portato in caserma per le formalità di rito, non si svolse un vero e proprio interrogatorio, eppure gli agenti vollero porgli alcune domande, com’è prassi nelle operazioni di polizia. Secondo le accuse, la fattoria degli asinelli sarebbe priva dei certificati di agibilità e dei permessi previsti dalla normativa. Lucano rispose con la consueta umiltà alle domande dei finanzieri. Uno di loro, forse abituato a intervenire in ben altri contesti criminali, udito il suo racconto, uscì dal protocollo e non poté fare a meno di commuoversi, stringergli la mano. Quando la fucina di mastro Bruno riprenderà a funzionare, i primi utensili, i cosiddetti “ciappi”, saranno forgiati per gli asinelli. Un modo come un altro per consentir loro di uscire dal recinto e vagare liberi! Sarà la loro rivolta. Queste orecchiute creature hanno la testa dura e il cuore grande, come quello della varia umanità che insieme a Mimmo Lucano è impegnata a rimuovere le macerie di Riace. Ancor prima che si formino.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti
(le foto sono di Francesca Caio Greco)
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