Albert: il papà arrivò in gommone, lui si laurea all’Unical

Ci sono alunni che ti parlano con gli occhi, prima ancora d’imparare l’italiano. Nel tempo, anche quando non sei più loro insegnante, continuano a renderti partecipe del cammino che compiono. A questi ragazzi ti affezioni per tanti motivi. Eppure provi imbarazzo: i programmi ministeriali stabiliscono che dovresti educarli “alla cittadinanza”. Ma come puoi? La cittadinanza neanche ce l’hanno!
Quando Albert Mulia arrivò in Italia, parlava solo la sua lingua: l’albanese. A distanza di 12 anni ieri si è laureato nell’università della Calabria presso il dipartimento di Scienze della Salute e della Nutrizione con una tesi sui rimedi naturali per il trattamento dell’ulcera peptica. Docente relatore: il professore Antonio Garofalo.
Come tanti altri esseri umani in fuga dai conflitti nei Balcani, la famiglia di Albert riparò in Italia dopo la metà degli anni novanta. Anche all’epoca il nostro Paese non brillò per i livelli di accoglienza ai profughi. A stento ricordiamo le cariche della polizia contro i migranti nei porti pugliesi o gli 81 morti nella tragedia avvenuta nel ’97, quando nel canale d’Otranto una nave della Marina militare italiana speronò un’imbarcazione carica di disperati, facendola affondare.
Il padre di Albert arrivò in gommone. All’inizio lasciò la famiglia in Albania. La mantenne lavorando nei campi della Sibaritide, raccogliendo pesche, olive e mandarini. S’improvvisò pure giostraio e muratore. Poi, ottenuti i documenti per consentire a moglie e figli di attraversare il mare in sicurezza, si ricongiunse a loro portandoli su questa sponda del Mediterraneo. Sacrifici ripagati. I figli hanno trovato forza e determinazione per ambientarsi, nonostante il contesto fosse poco favorevole. Albert era un bambino garbato e tenerissimo. Esilaranti le sue reazioni agli stimoli che gli arrivavano dai coetanei. “La gente è strana quando sei uno straniero”, cantava un poeta maledetto del ‘900. Così capitava che si imbronciasse per una battuta innocente e sorridesse quando i compagni gli regalavano qualche parolaccia. Nella scuola media di Lauropoli fondamentali per la sua inclusione furono le colleghe e i colleghi insegnanti di origini Arbëreshë. Più che lessicale, l’intesa tra lui e loro era fonetica, empatica, culturale. Impiegò davvero poco a imparare l’italiano. E per me fu naturale infatuarmi dei progressi che notai nella sua scrittura. Migliorava a vista d’occhio, da un compito in classe all’altro, con un’attitudine allo studio che se fosse patrimonio dei nostri politici, avremmo una panorama istituzionale meno inguardabile.
Oggi Albert è titolare di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, ma non è ancora cittadino a tutti gli effetti del Paese chiamato Italia. Lui non è abituato a lamentarsi, sorride sempre, quindi non se ne duole: “Pur non avendo il passaporto italiano, ormai ho doppia cittadinanza dentro di me”.
Claudio Dionesalvi

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