Il nuovo libro di Claudio Dionesalvi (L’evaso. Partita a bocce con la libertà, Sensibili alle Foglie, pp. 112), scritto insieme a Francesco Pezzulli, racconta una storia cosentina di malavita, carcere, aule bunker ed evasioni. Soprattutto, disegna il profumo della libertà.
«Το πάθος για την Λευτεριά είναι δυνατότερο απ’όλα τα κελιά», cantano gli anarchici nelle strade greche. Letteralmente significa che «la passione per la libertà è più forte di ogni gabbia». È quello che deve aver provato lo Smilzo, aka Francesco Pezzulli, la mattina del 25 febbraio 1997.
Dentro l’aula bunker di Cosenza si sta celebrando una delle udienze del maxiprocesso «Garden», contro le cosche locali. L’uomo è circondato da centinaia di agenti, sorvegliato da decine di telecamere. Si trova a pochi centimetri dalle sbarre riservate agli imputati. Per una combinazione surreale di casi le sue mani sono ammanettate soltanto dall’abitudine mentale.
Così Pezzulli decide di provarci: con nonchalance svolta a destra appena prima della gabbia, imbocca una scala, scende dei gradini, arriva in bagno, si svuota la vescica. Risalendo fa finta di essere un uomo libero. Saluta con le mani sciolte. Attraversa tutta l’aula bunker guardando in faccia guardie carcerarie, poliziotti, carabinieri, finanzieri, giornalisti e avvocati, dando le spalle a quelli come lui.
Nel cortile vede un cancello aperto per far passare una volante. Ci si infila. Poco dopo viene notato, preso da una gazzella e riportato all’ingresso del tribunale. Ma è così convinto di avercela fatta, che mette il dubbio in testa persino alle guardie. «Comanda’ a me m’hai visto uscire dall’aula bunker? A me?», dice andando incontro al piantone. Così quello si scusa e lui se ne va. Sporge il pollice, raccoglie un passaggio, passa a salutare un amico e corre a nascondersi.
La fuga è così incredibile che immediatamente si scatenano teoremi e congetture, conflitti tra gli apparati delle forze dell’ordine e sospetti di collusioni. Ma lo Smilzo ha fatto tutto da solo, seguendo il profumo di quella libertà che sembrava impossibile sfiorare di nuovo. Le gabbie, però, non sono soltanto le divise blu e le aule bunker, i magistrati e i secondini, le sbarre e i muri costruiti dallo Stato. Le gabbie sono anche segnali invisibili, mezze frasi dense di significato, parole seminate in giro nell’attesa che diano frutti.
Lo Stato ti arresta e ti isola. Le cosche ti sequestrano, ti uccidono o ti abbandonano. Dentro e fuori le prigioni. In cambio di sconti di pena per chi ha anime da vendere al mercato dei pentiti o di interessi da tutelare nelle strade in cui un evaso ha attirato i militari. Come cantavano i 99 Posse in Rappresaglia, la libertà può anche ridursi a quella di «essere ancora arrestato».
Non è una storia facile da raccontare quella dello Smilzo. Tra Stato e ‘ndrine, tra anni di carcere e pentiti-càntari, tra cosche opposte non sempre esiste un tertium non datur. E però è proprio quella terza possibilità che Francesco Pezzulli e Claudio Dionesalvi, che di prigione ha conosciuto quella speciale per motivi strettamente politici, ricercano tra le righe del racconto.
«Che dire? Cari ascoltatrici e cari ascoltatori – commentano dai microfoni di Radio Baccano, dopo che è giunta la notizia della fine della latitanza – noi pensiamo che la mafia “sia una montagna di merda”. Ma riteniamo pure che il carcere serva solo a mantenerla in piedi, questa montagna. E che dentro ogni extralegale ci siano le storie sofferte di uomini e donne che forse quella vita di merda non avrebbero voluto farla, se le circostanze esterne alle loro scelte non li avessero costretti a imboccare la strada della malavita».
Non basta evadere dalle gabbie per strappare la libertà. Bisogna anche costruire un mondo nuovo.
Giansandro Merli
dinamopress.it:
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