Mimmo Lucano in esilio, è gara di solidarietà tra Comuni

Il sindaco dell’accoglienza. Costretto ad andarsene, per ora resta nella Locride: «Forse ho sbagliato a dire che avremmo mantenuto in vita il sistema Riace, autogestito e autosufficiente, senza finanziamenti pubblici, che avremmo fatto accoglienza spontanea, non so»

Alle 6 di mattina Mimmo Lucano mette il borsone in macchina e abbandona Riace. Il sindaco dei migranti ora è migrante anche lui. Ma contro la sua volontà. Il divieto di dimora comminato dai giudici del Riesame è esecutivo da ieri. «Io non sono esperto di diritto, ma tutto questo mi sembra assurdo» esclama dopo un’altra notte trascorsa insonne. «È una storia inverosimile. Cosa ho fatto di male per non stare nel mio paese dopo che ci ho messo l’anima?». Il punto è che, suo malgrado, è diventato un target della ruspa salviniana. E di questo ora ha piena coscienza. «Io ho paura – dice chiaramente – che tutto questo sia diventato un fatto politico, che mi vogliono eliminare, stritolare. Temo vogliano distruggermi politicamente e umanamente. Mi vogliono mettere in mezzo». Poi fa una piccola e amara confessione. «Forse ho sbagliato a dire che avremmo mantenuto in vita il sistema Riace, autogestito e autosufficiente, senza finanziamenti pubblici, che avremmo fatto accoglienza spontanea, non so». E sul futuro immediato non si pronuncia. «Non so dove andrò, come mi organizzerò. Ora sono costretto a partire ma spero che la verità venga fuori. Ma una cosa la devo dire: io non mi pento di niente».
NESSUN PASSO INDIETRO e difesa ad oltranza del modello Riace. La macchina, intanto, parte ma la destinazione non è lontana. Rimarrà nella sua Locride, andrà da amici e compagni, in uno dei paesini di questa “dorsale della solidarietà” creata da lui e da altri volenterosi sindaci. Il fratello Giuseppe lo saluta calorosamente, ma non si dà pace: «Se mio fratello è stato sospeso dal suo ruolo di sindaco dove sta il rischio di reiterazione?». È uno dei tanti misteri di questa inchiesta kafkiana, “grossolana”, persino, secondo il gip di Locri.
PER LEMLEM TASHUFEN, la mediatrice culturale etiope, indagata anch’ella dalla procura di Locri, invece c’è il ritorno a Riace. Il divieto di dimora per lei è stato derubricato a obbligo di firma. Potrà, così, continuare in loco l’utopia realizzata in queste lande. Mentre Lucano sarà costretto a peregrinare lontano da qui. Di inviti il sindaco ne ha ricevuti tanti in queste ore, da tutta Italia, e da mezza Europa, dalla Svizzera alla Spagna. Il presidente della Toscana, Rossi, verrà a trovarlo sabato, il sindaco di Napoli, De Magistris, vuole accoglierlo nella città partenopea, e lo stesso invito ha fatto Leoluca Orlando a Palermo, alla vigilia del Festival della letteratura migrante. «Potrei andarci, adesso vedremo. Ma penso di accettare. Su Riace bisogna fare passare un messaggio politico. In Italia c’è una parte di collettività che va verso la barbarie e una parte che va verso la civiltà dei rapporti umani» gli ha risposto Lucano. Che a sera si dice stanco ma non abbattuto dopo questa prima giornata via da Riace: «Sono in giro da questa mattina. Per quattro ore ho dormito nella macchina. Ho messo quattro cose in borsa e sono partito, io vengo dalla militanza, sono abituato. Ora sono da amici ma devo ancora trovare una casa dove sistemarmi. Nei momenti di difficoltà, però, bisogna pensare a chi sta peggio di noi, ogni esperienza serve a qualcosa. Così sarà anche per questa».
Ma lo sfregio e il peso di questo Daspo ad personam rimane per lui piombo nelle ali. Agli occhi di chi vive in questa terra risulta eccessivo, grottesco e sproporzionato. Un provvedimento drastico, applicato di solito ai criminali incalliti, ai picciotti di ‘ndrangheta. Bisognerà attendere le motivazioni del Riesame per trarre delle conclusioni.
Tuttavia, escludendo il pericolo di fuga e la reiterazione del reato, non essendo più Lucano nelle condizioni soggettive e oggettive di protrarre la presunta illecita condotta, resta da capire in che modo potrebbe “inquinare le prove”, essendo stata setacciata, ed acquisita, dall’autorità giudiziaria, per due estenuanti anni, tutta la documentazione del comune riacese. Appare, dunque, esagerata questa misura afflittiva, soprattutto se rapportata all’ignavia del sistema giudiziario calabrese dinanzi a certe tipologie di reato.
NELLA TERRA DEI VELENI, sotterranei e sottomarini, non c’è un solo procedimento per i reati ambientali che si sia concluso con una condanna. Impuniti i responsabili di abusivismo e devastazione, spesso al soldo di potenti multinazionali o al servizio delle ‘ndrine. Mai scalfito il perpetuo connubio tra la locale classe politica, i colletti bianchi e le mafie. Questa è una regione colma di ferite,sono aperte, grondano sangue, liquami umani e chimici, onde elettromagnetiche, lamiere arrugginite, nubi tossiche. Nel disinteresse, tranne poche eccezioni, di una magistratura inerte. E in questo labirinto di conniventi negligenze, dove tutto è insabbiato e tutto irrisolto, la procura di Locri ha trovato il tempo e le energie per limitare la libertà di un sindaco che era riuscito a ripopolare di umanità il suo paesino. Ed a tenere lontane le imprese di ‘ndrangheta e gli imprenditori di xenofobia. Che adesso, infatti, brindano all’esilio di Mimmo Lucano.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti

“il manifesto”, 18 ottobre 2018

 

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