Chi vuol fare rumore deve essere padrone del suono

“Pronto, mi chiamo Francois, sono francese, io ed il mio gruppo vorremmo suonare a Cosenza…”
“Senti Francois, se tu sei francese io mi chiamo Napoleone. Mi vuoi prendere per il c…? Vai a sfottere qualcun altro”.
“Non è uno scherzo, il mio genere musicale è la rumoristica…”
“Rumo… cchè? Senti: facciamo una cosa, ti voglio mettere alla prova. Ti passo il mio amico “Carciofo” che la madre è di Parigi e il padre di Aprigliano, così vediamo se sei davvero francese”.
“Pronto…? Oh, vedi che questo è davvero francese”.
Siamo così abituati a trattare con impresari ed intermediari, che ormai snobbiamo i musicisti veri e addirittura fatichiamo a riconoscerli.
Così quanto Francois Cambuzat ha chiesto in prima persona di suonare al Gramna, il mese scorso, ha dovuto faticare molto per organizzarsi il suo concerto.
E pensare che di “rumoristi” negli spazi autogestiti ne passano tanti. Nella maggior parte dei casi sono spacca-timpani senza la minima cognizione di cosa sia la musica. Ma Francois e Chiara Locardi sono fatti di un’altra pasta. Di Chiara, bassista e percussionista, ti colpisce anzitutto lo sguardo. Chiara la sua musica, Chiara di nome, luminosi i suoi occhi di gatto. Cambuzat proviene dal Gran Teatro Amaro, un’insalata di musica, dramma pensiero, che soprattutto in Germania era ormai una specie di gruppo di culto. In Calabria lo ricordano per essere stato animatore dei Kim Squad, che a Lamezia, sul finire degli anni ’80, hanno suonato davanti a tremila persone.
Ma Francois, musicista poliedrico ed affermato, ha rifiutato un comodo contratto offertogli da una grossa etichetta ed ha scelto la strada difficile e pura dell’indipendenza. Infilarsi in un furgone, caricarlo di strumenti e girare l’Europa senza padrini e padroni. La ricerca, la sperimentazione, la mania di approdare a nuove sonorità, anche a costo di parlare senza dire. Il gusto della sorpresa, una linea melodica fatta di improvvise accelerazioni e freddi stop, la voglia di fecondare dissonanze ed accordi sinuosi che viaggiano sulla distorsione. Il prodotto artistico, il CD, non è più risultato finale, ma punto di partenza, sul quale costruire, serata dopo serata, un discorso nuovo sviluppando i suoni. E anche il titolo, “Swinoujscie-Tunis” (da una località polacca alla Tunisia), è impronunciabile, perché chi non ha nulla da vendere non è costretto ad essere semplice. E le parole di Francois a fine concerto lo confermano: “… questo è il nostro CD, lo troverete solo stasera, ne abbiamo inciso solo mille e quando lo terminiamo ne facciamo uno nuovo”. Mai visto il pubblico del Gramna chiedere autografi; quella sera è accaduto; non capita tutti i giorni di incontrare Artisti di Strada.
Les Enfants Rouges sono alchimisti. Trovatori, gente che ama allietare l’udito umano, ma si riserva il piacere di pungere. Il loro è un messaggio in controtendenza. È assurdo concepire la musica come mera evasione.
Se la gente ha tanta voglia di ballare, che provi a farlo al ritmo dei rumori urbani, vagando nei quartieri ghetto, danzando con le spalle girate alla disperazione.
Ascoltiamo il lamento degli invisibili e poi proviamo ancora a sculettare.
Claudio Dionesalvi (Freme)
Teatro Rendano, maggio 1997

 

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