Il sequel di “A Ciambra”

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Non è mai facile ideare la continuazione di un film. Soprattutto quando riproduce la vita reale, si rischia di lasciarsi sequestrare dalla fantasia. Abbiamo letto e visto migliaia di romanzi stravolti nell’atto di farsi pellicola. Ci siamo annoiati dinanzi alla visione di storie trascinate verso una mortificante continuazione.
Quale sarà il sequel di “A Ciambra”, il film ambientato a Gioia Tauro e scelto per rappresentare l’Italia ai premi Oscar 2018 tra le pellicole in lingua straniera? Non sono pochi gli spettatori usciti perplessi dal cinema dopo averlo visto, taluni per una sincera questione di gusti, altri perché vi hanno riscontrato un sostrato razzista, qualcuno infine, all’opposto, per malcelato e xenofobo disgusto verso il tema trattato. I rom, i migranti, la ‘ndrangheta, ma è possibile che ogni qualvolta si parli di Calabria, i protagonisti sono quelli? Questa appare la meno digeribile di tutte le angolazioni. È la vecchia tiritera dell’ostinarsi a cercare intorno a sé una dimensione compatibile, come se parlare del paesaggio rigoglioso possa servire a rimuovere i drammi di chi lo abita. Invece, tra coloro ai quali è piaciuto il film, la domanda sorge d’istinto: che fine farà Pio? Il ragazzino rom cresciuto in un dedalo di case popolari, potrebbe essere uno dei tanti incontrati a Gergeri, Scordovillo, “208” nel rione Sbarre, Timpone Rosso, Aranceto. Giova segnalare che casi come quello di Pio sono tanti, ma non esprimono la realtà di tutti i rom. C’è pure chi vive stanziale in quartieri critici, però lo fa con grande dignità e spesso ne emerge conducendo una vita normalissima. Il regista Jonas Carpignano avrebbe ammesso d’essere rimasto folgorato la prima volta che gli capitò d’affacciarsi in un posto come questo. È la sensazione che provano in tanti, a volte rapiti da forme mistiche di esotismo. E c’è anche chi, amando gli infiniti risvolti dell’umano, si infatua dei rom a prima vista, pur riconoscendo la condizione di degrado in cui molti di loro versano da quando sono stati italianizzati.
Il film ha il merito di rappresentare senza retorica, attraverso il rapporto tra il giovane protagonista e il nonno, tendente all’onirico, il depauperamento morale e sociale di questa etnia, per effetto del suo confinamento nei territori marginali delle nostre città. L’abbandono della cultura del fuoco e dei cavalli, l’arruolamento nella malavita come manovalanza di bassissimo livello, l’assimilazione dei modelli gagé (non rom), ricordano la sorte toccata ai pellerossa in America o agli aborigeni in Australia. Fuori dalla rappresentazione filmica, il paradosso consiste nello stravolgimento della verità storica: in pochi sono disposti ad ammettere che siamo stati noi occidentali a educare i rom alla malandrineria, all’accattonaggio e alla sopravvivenza coatta. E fa bene qualcuno a ribadire che questa comunque “non è la storia di tutti i rom”.
Allora che ne sarà di Pio nella continuazione del film? Le possibilità sono infinite, come il gioco delle combinazioni di qualsiasi esistenza precaria. Conoscerà un monsignor Bregantini, e magari poi una ragazza estranea al villaggio, di cui s’innamorerà, e lei lo spingerà a uscire dal branco, mettersi a studiare e laurearsi, farsi una famiglia insieme? Perché no? Accade non sempre, ma spesso, tra i rom ‘taliani. Ma le cose potrebbero pure andare in maniera diversa. Al termine del percorso iniziatico nelle ‘ndrine, troverà un boss disposto a battezzarlo, sceglierà di mettersi in proprio, formerà un clan autonomo e dichiarerà guerra al mondo intero. Migliaia di ragazzi, sia rom che gagé, in Calabria scelgono la malavita come potenza e atto di ribellione. Noialtri, quelli che sogniamo un’insurrezione diffusa e prospettiamo scenari di costruzione dell’alternativa a questa società, parliamo troppo difficile, a volte diamo pessimi esempi. Un ragazzo come lui non seguirebbe mai i tifosi della rivoluzione. Allora è verosimile che Pio diventerà un boss mafioso. E tutte le volte che gli ‘ndranghetisti autoctoni incroceranno il suo sguardo, si cacheranno sotto. Non sarebbe un lieto fine, ma ogni tanto la storia si vendica sul male superandolo nel suo stesso terreno.
Claudio Dionesalvi

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