Non è rimasto solo, il sindaco Mimmo Lucano. Sono arrivati in tanti, dai quattro angoli delle Calabrie e oltre, per testimoniargli una sincera solidarietà. Tra di loro anche molti ragazzi, come quelli dell’IPSIA “Marconi Guarasci” di Cosenza, impegnati con i loro docenti in un progetto POR “Popoli migranti abitanti della memoria”. Centinaia di persone si sono strette intorno a lui, per le strade di Riace. La cittadella che ha richiamato in questi anni la curiosità e l’attenzione del mondo per il suo modello virtuoso di accoglienza ai migranti, ha così rinnovato l’appoggio al primo cittadino indagato dalla procura di Locri per “abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in relazione alla gestione del sistema di accoglienza”.
Sono interni ed esterni i nemici di Mimmo Lucano. Covano odio contro di lui molti compaesani, affetti dal male della gelosia e dell’invidia che in Calabria uccide chiunque provi a costruire qualcosa di positivo. “Picchi’ ha da mangiari sulu iddu”? lo mormorano in tanti, non solo a Riace, ogni qualvolta dalla testa e dalle mani di qualcuno affiorano concreti esempi virtuosi di proficua cooperazione nel lavoro e di vita sociale basata su valori Altri. Fanno finta di non sapere, i suoi nemici, che lui è rimasto povero, non s’è messo in tasca un centesimo, perché per loro quel che conta è accaparrare ciò che possono. Di tutto il resto non gliene frega nulla.
Ma provengono anche da fuori Riace i fustigatori del Sindaco. Sono le facce d’ombra del ministero dell’Interno e quelle collaterali alle stanze del Viminale, dislocate nei territori periferici dell’Impero. Come nel romanzo “Q”, essi spiano, verbalizzano, riferiscono ai propri superiori, controllano che nulla sfugga ai tentacoli di una burocrazia beota, perché di essa loro si alimentano, e grazie ad essa, prima ancora che alle manganellate della celere, normalizzano qualsiasi esperienza di dissenso attivo.
Per i funzionari della prefettura di Reggio Calabria, Lucano avrebbe speso 638mila euro senza giustificarle. Lui replica che quei soldi sono serviti per quel 30 per cento dei migranti che hanno superato i 6 mesi del periodo massimo di permanenza, e che quindi quel denaro non è sparito nel nulla, è stato normalmente contabilizzato e speso. Ma i progetti SPRAR parlano chiaro: alla scadenza del periodo previsto, anche i migranti scadono e se ne devono andare. Guai a chi disobbedisce. Figuriamoci poi nella legalissima Reggio Calabria, esempio di trasparenza, pulizia ed estraneità a qualsiasi connivenza tra istituzioni e crimine. Il modello costruito da Mimmo Lucano si fonda sul tentativo, in verità non sempre andato a buon fine, di fare in modo che i migranti affondino le radici nei luoghi in cui sono accolti, per ripopolarli, rivitalizzarli, restituirli alla vita. Dunque, dare lunga durata all’accoglienza. Ma il problema, per gli sbirri imperiali, è proprio lì: la lunga durata teorizzata dagli storici annalisti del ‘900, è rivoluzionaria, permette la ricostruzione complessa e realistica della storia, quindi minaccia sia la volatilità del presente sia la sua “liquidità” imperniata sulla “religione dei consumi”. Cose, persone e relazioni devono durare poco, i fotogrammi devono rimanere privi di un contesto, come il frame di Carlo Giuliani contro la camionetta a Genova nel 2001. Guai a ricostruire il prima e il dopo di quell’istante tremendo! Si scorgerebbe la verità. Vietato riprodurre il modello Lucano, dunque. I migranti diverrebbero persone. Non a caso chi lancia accuse contro di lui, brandisce le carte. La burocrazia è nemica degli uomini e delle donne che immergono le proprie mani nelle voragini sociali e si calano nei drammi umani, li vivono a contatto con le vittime delle diseguaglianze sulle quali si basa il sistema in cui viviamo. Il problema è che o compili carte o ti occupi dell’umanità. Non c’è tempo per fare entrambe le cose.
A Riace nei luoghi dell’accoglienza lavorano 80 persone, di cui 12 migranti già ospiti dei progetti SPRAR. Gli inquirenti contestano al Sindaco l’affidamento diretto di strutture e mansioni. Incredibile: in Calabria ci sono prefetture che hanno affidato i Centri Accoglienza Straordinaria e le relative risorse agli amici degli amici e a veri e propri avventurieri, quando non le hanno messe nelle mani di delinquenti politici o ‘ndranghetisti. E adesso il problema sono gli affidamenti diretti disposti da Mimmo Lucano! Anche la censura dei rapporti di parentela tra “il personale in organico presso gli enti gestori e i componenti dell’amministrazione comunale” è frutto di un pregiudizio antico. Si rinnova così l’accusa di legami genetici con le mafie, frutto della crudeltà sabauda nell’Italia post-unitaria: voi meridionali in qualche modo siete tutti mafiosi e anche quando non lo siete in modo diretto, sempre parenti loro rimanete. Così sono stati sciolti tantissimi comuni calabresi in questi anni, in base ai rapporti di parentela tra i consiglieri comunali e gli ‘ndranghetisti. Sì, è vero, alcuni meritavano lo scioglimento. Rimane da capire però come si possano estinguere tali legami, senza che questo porti all’estinzione stessa di interi centri urbani che per sopravvivere in questo secolo e mezzo si sono poggiati proprio su reti solidali di tipo familiare.
In realtà c’è una parola che tutti respingono, ma in virtù della quale tutti campano: emergenza. E non sono soltanto i marpioni dell’accoglienza a cavalcarla. Anche le strutture virtuose si alimentano di canali emergenziali. Spesso fingono di non sapere che, così come accadde per i calabresi dell’autunno caldo 1969 nel nord Italia, oggi per i migranti l’unica possibilità di affermarsi come persone non è solo il lavoro o la semplice partecipazione alla vita civile. Una cittadinanza praticabile, per loro come per chiunque, può derivare soprattutto dall’occupazione delle case vuote per conquistare il diritto all’abitare, dalle manifestazioni davanti ai cancelli delle società della distribuzione dove sfruttati lavorano come facchini della logistica.
Per il resto, sono chiari i motivi dell’attacco a Mimmo Lucano. In Calabria oggi si può scegliere se essere mafiosi, poliziotti o ignavi. Le uniche attività concesse sono quelle di spiare, essere spiati, comandare, obbedire, appassionarsi alla violenza o chiudersi nel silenzio. Nelle istituzioni come nel sociale, si può solo incarnare la condizione dei burocrati e quella dei benefattori. Devi avere grande confidenza con le carte o manifestare lacrimevole pietà verso i diseredati. Ma se stai nelle istituzioni, mantieni vivo il tuo rapporto col sociale e t’azzardi a rompere pure le scatole e a criticare il potere, ti verranno a prendere, ti schiafferanno in prima pagina. E la tua vita diventerà un tribunale.
Claudio Dionesalvi
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