Business migranti a Crotone, l’ineffabile piacere di urlare al megafono

Io me lo ricordo Don Edoardo Scordio, quando venne a Lauropoli a blaterare di legalità. Adesso per lui parlano i suoi avvocati. Devono dimostrare che non è un mafioso. La vicenda giudiziaria m’interessa poco. Ciò che conta è la qualità morale dell’atmosfera in cui vivono i nostri corpi. Ne conosco tanti come lui, sedicenti attuatori del vangelo, scrivono progetti e progettini, mungono le mammelle delle sacre vacche istituzionali. Ne ho incontrato a migliaia, convinti sostenitori della legge, che alla prima folata di potere si sono lasciati trasportare via col vento della corruzione e hanno smesso di ascoltare i vagiti dell’umana dignità.
Insieme ai miei compagni e alle mie compagne decine di volte siamo andati davanti ai centri di detenzione, accoglienza sanguisuga ed espulsione dei migranti. Siamo andati per bloccare le strade, urlare, spintonare gli uomini in divisa, e raccontare al mondo intero una verità che adesso cavalcano i sovranisti: sulle spalle di chi ha sfidato la morte per attraversare il Mediterraneo, mangiano tante, troppe, “anime belle”. Non c’erano ancora i social network. Chi voleva strillare qualcosa, comunicare sentimenti, aveva solo le strade e il megafono per farlo, la posta elettronica per trasmetterlo. Forse anche per questo sembrava che circolassero più sentimenti e comunicazione nella vita reale. Ne affidavamo di meno al web.
Davanti alle galere etniche calabresi, io me le ricordo le minacce ‘ndranghetiste a Francesco Cirillo, le querele contro Silvio Messinetti. Cercavano di farli tacere. Loro hanno sempre reagito col sorriso, com’è naturale sulla bocca di quanti lottano per una società più giusta, libera, egualitaria. Risalgono a più di un decennio fa le inchieste di Francesco e Silvio, le urla nostre davanti agli odierni campi di prigionia, tanto è il tempo che in Italia deve trascorrere prima che le autorità costituite decidano che i sodali del malgoverno hanno concluso il loro tempo e possono essere sostituiti. Nessuna soddisfazione quando qualcuno finisce in carcere, a prescindere da quel che avrebbe combinato. Al contrario, la speranza è che possa dimostrare di essere estraneo ai fatti. Ma un pizzico di orgoglio prevale, quando si viene a sapere che le proprie urla non si sono disperse nel nulla.
Claudio Dionesalvi

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