S’innervano nelle remote fessure, si nutrono di aride molecole. I germogli di colorata gramigna, violette e fichi selvatici, tra marzo e aprile invadono siti improbabili, affiorano dal cemento, penetrano l’asfalto. Troneggiando ai confini delle mattonelle, generano aggrovigliati amplessi col ferro arrugginito. Li vedi spuntare sulle verande, negli anfratti urbani, tra interstizi di marciapiedi screpolati. Raccontano la voglia di aggrapparsi alla vita rigenerandola in luoghi inattesi, testimoniano la meravigliosa resilienza dell’autonomia, la dignità d’esistere senza che nessuno abbia deciso di farli nascere o che qualcuno se ne prenda cura. Più che una sfida della natura, sono pura ribellione, brandelli di naturale resistenza all’invadenza dei manufatti umani di cui poi divengono complici, inattesi ospiti. Nell’argilla o sul calcestruzzo attecchiscono fiori dagli sbalorditivi cromatismi. E ci ricordano che amore, bellezza e libertà non hanno bisogno di chiedere il permesso per esistere.
Claudio Dionesalvi
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