Padre Fedele grave: ha preso la malaria

Nel pieno del delirio, intorno alla mezzanotte di lunedì, è riuscito a telefonare ai suoi collaboratori: «Sto malissimo, aiutatemi». Gli operatori dell’Oasi francescana si sono precipitati nel convento dei frati cappuccini e quando sono entrati nella sua stanzetta, hanno trovato padre Fedele Bisceglia riverso sul letto.
Aveva quasi perso conoscenza, sudava e continuava a ripetere frasi prive di senso. Il tempo di misurare la febbre, 41, e lo hanno immediatamente avvolto in una coperta ed infilato in macchina. Destinazione: l’aeroporto di Lamezia Terme, dove il ministro provinciale dei frati minori  cappuccini è stato caricato sul primo aereo per Venezia. Nel Veneto, in un ospedale specializzato nella cura delle malattie tropicali, il “monaco” è stato ricoverato d’urgenza. I medici non hanno avuto dubbi: «È affetto da una gravissima forma di malaria. La prognosi è riservata».
A circa una settimana dal ritorno dall’Africa, Padre Fedele non ha fatto in tempo a raccontare le sue ultime avventure, perché una creatura del continente nero, la malaria, lo ha trascinato in una corsia d’ospedale. Un viaggio rituale, il suo. Una specie di passione che ha segnato tutta l’esistenza di un uomo rimasto orfano a soli quattro anni, che passerà alla storia per essere riuscito ad aiutare i diseredati, i derelitti, i poveri, gli immigrati, i deboli, utilizzando le sue grandi doti di manovratore della società dello spettacolo. Il plurilaureato Bisceglia, fondatore dell’oasi francescana, ultrà del Cosenza, capace di acquistare un’ambulanza con gli incassi degli spettacoli di una pornodiva, attaccato dai vertici ecclesiastici per quella sua mania di prendere sul serio il vangelo, deve ora fare i conti con una malattia spietata che in Africa colpisce ogni giorno migliaia di persone. La febbre della solidarietà lo assale ogni anno, a Natale, quando carica un container di medicinali, vestiti e giocattoli e si catapulta in Africa.
Lunedì scorso, intorno all’ora di pranzo, padre Fedele si trovava nel refettorio del convento. Batteva i denti come un cane abbandonato sotto la neve. «Vedrai che non è malaria, io sono un frate, ma anche un medico», mormorava. Ed intanto, raccontava frammenti della sua ultima trasferta: «Sono stato in Centrafrica. Lì abbiamo costruito un centro per bambini handicappati. Poi mi sono trasferito per qualche settimana in Congo dove c’è la guerra civile, ma noi vi abbiamo creato un poliambulatorio e una scuola per infermieri. Prima di atterrare, ho avuto paura di morire. Sotto di noi, partivano raffiche di mitra. Abbiamo preferito dirottare su un aeroporto più sicuro e poi ho proseguito il viaggio via terra. Ho fatto amicizia con alcuni guerriglieri. Uno era molto giovane e mi ha lasciato impugnare il mitra per qualche istante. Il sangue mi si è raggelato quando ho notato che quell’arma era stata fabbricata in Italia. Sì, ho detto, in Italia. Quelli si ammazzano con i mitra che gli vendiamo noi. Appena mi passa questa influenza, voglio organizzare una conferenza stampa per raccontare a tutti questa storia. Vedrai che la febbre mi passerà subito. Non è mica la malaria! Quella non scherza»
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 3 febbraio 1999

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