Martedì scorso, l’attenzione dei cosentini è stata dirottata verso via Popilia. Una sparatoria non capita tutti i giorni. Polizia, carabinieri e cronisti sono accorsi nel quartiere più caldo della città per ricostruire la dinamica di un attentato. Nessuno si è accorto che intorno alla stessa ora, nella centralissima piazza Matteotti, a venti metri da corsi Mazzini, un immigrato è stato sequestrato da un gruppo di sconosciuti.
Nadif Mohamed, 31 anni, marocchino, stava rientrando a casa dopo una giornata di lavoro, quando una macchina di grossa cilindrata lo ha affiancato. Senza troppi complimenti, l’autista ha costretto l’uomo a salire. Trasportato in periferia, in una zona lontana da occhi indiscreti, Nadif è stato scaraventato a terra e preso a pugni e calci. Quattro persone lo hanno circondato e malmenato in modo “scientifico”, per non lasciare tracce sul corpo del malcapitato. Ma il pestaggio è durato a lungo e dopo un quarto d’ora di botte, i segni sono rimasti. Il marocchino ha approfittato di un momento di distrazione dei suoi aggressori ed è scappato, riuscendo a dileguarsi. L’immigrato ha fatto in tempo a raggiungere a piedi il pronto soccorso dell’ospedale dell’Annunziata, dove i medici hanno riscontrato sul suo corpo ematomi, lividi e contusioni alle gambe. Il referto afferma che le ferite sono guaribili in 15 giorni.
Dopo aver ricevuto le cure di rito, Nadif si è recato tremante ed impaurito alla caserma “Paolo Grippo”. Ai carabinieri ha raccontato la sua storia, fornendo utili indirizzi per risalire all’identità degli autori dell’agguato. Gli inquirenti stanno indagando negli ambienti della micro-criminalità locale e per il momento escludono il movente razzista. In città non esistono precedenti di questo tipo.
Anche l’ipotesi di una vendetta legata al controllo di affari illeciti, sembra priva di fondamento, perché l’immigrato è incensurato.
Nel suo paese, Nadif Mohamed si è sposato circa dieci anni fa, prima di imbarcarsi su una nave e venire a cercare fortuna in occidente. Nel Marocco si reca spesso, per vedere i suoi tre figli. Gli ultimi due gemelli hanno solo tre anni. In Italia è arrivato con uno spirito analogo a quello degli emigranti calabresi, che negli ultimi decenni hanno abbandonato la loro terra per trasferirsi in America o in Germania. Nadif è sbarcato sulle nostre coste con l’idea fissa di raggranellare un po’ di denaro da spedire in patria. Vuole garantire ai propri familiari un’esistenza dignitosa. Il giovane marocchino, che è molto conosciuto nel mondo del volontariato per il suo carattere onesto e generoso, ha dovuto affrontare sacrifici disumani.
Qualche anno fa, ha ottenuto il permesso di soggiorno, ma prima è stato costretto a fare i lavori più umili: in cambio di una misera paga, ha raccolto olive e pomodori ed è stato poi impiegato come collaboratore domestico. Spesso ha offerto le sue prestazioni senza la minima garanzia, lasciandosi assorbire nel vortice del lavoro nero. Recentemente si è rivolto ai sindacati, chiedendo la loro protezione, perché come tanti altri immigrati, Nadif deve sottostare agli immancabili ricatti e subire lo sfruttamento selvaggio che, nel mezzogiorno come al nord, schiaccia i più deboli. Un mese fa, è anche rimasto vittima di un grave infortunio. A Cosenza, Nadif vive nel centro storico, insieme ad alcuni connazionali, in un’abitazione umida e pericolante. Paga un regolare affitto, e quando deve mangiare si rivolge alle strutture di carità che un pasto caldo non lo negano a nessuno. Ieri notte è stato costretto ad abbandonare provvisoriamente il suo alloggio, perché teme nuove rappresaglie.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 2 ottobre 1998
Leave a Reply