Sekine, morto nella baraccopoli e già dimenticato

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Dall’esterno sembra sottrarsi alla vista la tendopoli di San Ferdinando, circondata da cespugli di oleandri abbandonati. Tutt’intorno un odore di detriti bruciati segue in carrellata i capannoni deserti, gli scheletri di strutture sequestrate alle ‘ndrine, fossili in cemento di una delle tante aree industriali abortite in Calabria. Il primo ad affacciarsi è Omar (nome di fantasia). Intima a tutti di allontanarsi. Poi si avvicina, c’è uno scambio di battute, sguardi fissi negli occhi, una possente stretta di mano e fa segno di seguirlo: “È qui dentro che il carabiniere ha sparato al ragazzo del Mali”. Sekine Traorè, 27 anni, rifugiato malese, è stato colpito pochi giorni fa dalla pistola di un militare dell’Arma. Viveva in Francia, era in Italia da tre mesi, sceso quaggiù per rinnovare il permesso. Ha perso la vita al termine di quella che secondo la versione della polizia sarebbe stata “una colluttazione”. Non sono però ancora chiare né la causa né la dinamica del presunto scontro fisico. Di sicuro c’è solo che la tenda in cui il ragazzo ha perso la vita, al momento è aperta, priva di sigilli. Nessuna autorità ha provveduto a sequestrarla. All’interno, a poche ore dalla tragedia, tutto è tornato all’ordinario degrado di sempre. La tenda ha ripreso a fungere da bar improvvisato. Il paesaggio circostante è da campo profughi. Alle file di tende di un azzurro sbiadito, marchiate dal ministero dell’Interno, nel corso degli anni si sono aggiunte baracche in cartone e nylon, autocostruite dai migranti. C’è la capanna del gioco, quella della preghiera e l’officina delle biciclette. Niente agrumi, però, nei mesi estivi. I migranti vagano tra rifiuti e pozzanghere, in un caldo opprimente, in questa stagione privi persino del lavoro schiavistico che svolgono per tutto il resto dell’anno. Arriva un camion di aiuti umanitari e loro lo rimandano indietro, in segno di protesta. Vogliono soltanto giustizia per il loro amico. E non solo i soli.
“La baracca in cui Sekine Traorè è stato ucciso da un colpo di pistola ormai più di due giorni fa – spiegano gli attivisti del Comitato verità e giustizia per Sekine Traoré – in questo momento non è sottoposta a sequestro. È ancora l’emporio dove da uno stereo canta Bob Marley, qualcuno fuma una sigaretta e qualcuno beve un caffè. Non sappiamo se un sequestro c’è stato, ma nessuno sembra confermarlo. Eventualmente, si è trattato di un sequestro lampo. Tracce di sangue, comunque, non ce ne sono. Ci chiedono il perché. Non lo sappiamo.
L’iscrizione del carabiniere nel registro degli indagati – prosegue la nota – è un atto dovuto, ha dichiarato il procuratore della repubblica di Palmi Ottavio Sferlazza, aggiungendo prontamente che tutto sembra confermare l’ipotesi di una legittima difesa. Bene. Chiediamo alla procura della Repubblica di chiarire se e in che termini sono stati eseguiti i dovuti rilievi sul luogo dell’omicidio. Chiediamo alla procura della repubblica di chiarire se l’assoluta accessibilità dei locali a 48 ore da un omicidio rispetti o violi quello che la legge prescrive in questi casi. Molte persone – conclude la nota del Comitato – continuano ad affermare elementi importanti, ed almeno parzialmente in contrasto con la versione delle forze dell’ordine. Chiediamo alla procura della Repubblica se e in che termini è stato garantito l’esercizio del diritto/dovere di testimoniare. Nessuno dei presenti ha dichiarato di essere stato sentito o convocato in procura. Chiediamo infine, a tutti e a ciascuno, di considerare che Sekine è morto e c’è una verità dei fatti ancora tutta da accertare. Ricordiamo che gli inquirenti hanno il dovere – morale e giuridico – di compiere ogni sforzo al fine di chiarire il più possibile questa verità. Chiediamo a tutti e a ciascuno di giudicare se questo è il modo”.
Tra gli attivisti per i diritti dei migranti, oggi pomeriggio nella tendopoli di San Ferdinando, anche Mariafrancesca D’Agostino, militante della Scuola del Vento, una realtà sociale che si batte per la dignità dei bambini rom. “Questi ragazzi – spiega D’agostino – chiedono solo un documento che dia loro la possibilità di lasciare l’Italia e ricostruirsi una vita altrove. Così aveva fatto Sekine che era ritornato dalla Francia in Italia solo per il rinnovo del suo permesso. Ma in questo Paese dove nulla funziona, anche il semplice passaggio per il rinnovo espone i migranti ad estenuanti attese che li uccidono lentamente o brutalmente. Come è accaduto a Sekine”.
Claudio Dionesalvi
 la baracca in cui è stato ucciso Sekine - 2
la baracca in cui ha trovato la morte Sekine
1 Comment
  • Grazia
    Giugno 11, 2016

    Non so se due giorni possano bastare a far dimenticare la morte di un ragazzo, non so neanche se abbia realmente importanza sapere se il carabiniere ha ucciso per paura o per mancanz di controllo o per altro motivo, dipendente sempre da una carenza nella sua preparazione professionale; la morte di una persona per mano di chi deve proteggere, dialogare, far ragionare, riportare la calma e la tranquillità si imbatte troppo spesso nella pochezza del nostro tempo: la mancanza di rispetto per l’essere umano, l’incapacità di prendere in considerazione l’abbrutimento in cui , circostanze imposte da leggi di uno Stato burocrate, spinge centinaia di esseri umani a combattere giornalmente contro tutto ciò che li vorrebbe vinti e schiavi, non solo fisicamente ma ancor più terribile, annichilendo le loro menti, intaccando stima verso se stessi e dignità. Questo conta adesso, un carabiniere ha ucciso un ragazzo; ha estratto la pistola e ha ucciso, è questa la reazione che ci si aspetta da un carabiniere, un servitore dello stato? Se è così, se è questo che tutti si aspettano da chi fa parte delle forze dell’ordine allora la nostra Democrazia è ufficialmente morta, Puntualmente, di fronte ad accadimenti così gravi, ci si ribella, ci si indigna, per un giorno, due, una settimana, un mese, un anno.Io chiedo solo questo, perché questi lavoratori non abitano in case, ognuno con la propria camera, un bagno , la cucina in comune, una camera per socializzare; ogni Comune dovrebbe essere attrezzato per ospitare al meglio i lavoratori stagionali. Ogni cittadino dovrebbe sentirsi responsabile della salute fisica e mentale dei lavoratori stagionali, sono una risorsa, una ricchezza; dovrebbero coinvolgerli negli eventi, nelle feste, includerli all’interno della società che li accoglie. Ogni cittadino dovrebbe proteggerli da soprusi, arroganza e abusi di potere.Io vorrei sapere perché questi lavoratori stagionali non abitano in una casa? Perché? Dove sono le autorità, le forze dell’ordine quando centinaia di persone vengono costrette a vivere nel degrado. La terra sarà lieve su Sekine. Ma il carabiniere deve rispondere della morte di un uomo, Il comune di Rosarno deve rispondere per la mancanza di adeguati servizi che tutelino la salute fisica e mentale dei lavoratori stagionali ospitati all’interno del territorio comunale, la Prefettura per le lungaggini burocratiche che hanno impedito a Sakine di ritornare in Francia, lo Stato italiano alla fine deve rispondere di negligenza per il mancato rispetto rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

    Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e
    proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani,

    DICHIARAZIONE UNIVERSALE
    DEI DIRITTI UMANI
    Preambolo

    Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della
    famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento
    della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo;
    Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme
    giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima
    istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione

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