Salvata dall’uragano

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Viva per miracolo. Impaurita, con la memoria imbottita di immagini raccapriccianti. È tornata a casa tre giorni fa, ma se non fosse intervenuta l’aeronautica militare inglese, anche la cosentina Kathy Vigolò, 25 anni, sarebbe stata inghiottita dall’uragano Mitch. Il suo nome non figurava nell’elenco dei dispersi, ma la famiglia ha vissuto giornate terribili: di lei, non si aveva alcuna notizia. Kathy è nata ed è cresciuta a Cosenza, dove è rimasta «fino all’età di 13 anni – spiega – quando i miei genitori si sono trasferiti in Veneto. Da allora scendo volentieri in Calabria, soprattutto d’estate, perché vengo a villeggiare a Torremezzo». È ancora piena di energia e voglia di tornare a girare il mondo: ha vissuto una lunga esperienza nella comunità degli “Elfi”, sulle colline pistoiesi. Poi si è trasferita per due anni in India. E infine ha scelto il Sud-America.
«Gli elicotteri britannici sono arrivati appena in tempo – spiega la ragazza al telefono – perché ero bloccata da quasi una settimana in una scuola. I viveri stavano finendo e non era possibile mettere il naso fuori dall’edificio. Mi trovavo a Rutila, in Honduras. Rutila, Uanaha e Ruatan, sono state devastate dall’uragano. A Uanaha, che dista poche miglia dal posto in cui mi trovavo, la gente vive ancora nelle palafitte ed è stata spazzata via dal mare e dal vento, che ha raggiunto una velocità di trecento chilometri orari». Difficile contare i morti. «Undicimila quelli accertati – spiega Kathy – ma è chiaro che quei novemila dispersi non torneranno mai più alle loro case». Quando l’uragano Mitch ha toccato l’Honduras, era arrivato a “forza 5”: la massima intensità raggiunta nel suo lungo cammino distruttivo. «Sull’isola abbiamo appreso in anticipo che sarebbe arrivata la calamità – racconta – e in poche ore è accaduto di tutto. Siamo stati evacuati dalle case in legno. I negozianti hanno portato i prezzi dei generi alimentari alle stelle. Sciacalli. Ero in compagnia di un altro italiano, un commerciante, ma ci siamo persi. L’ho rivisto solo quando la tempesta si è allontanata. Abbiamo trovato rifugio nei sotterranei di una scuola e per qualche giorno ci siamo nutriti con cibi in scatola. Il vento faceva tremare i muri. Se penso al frastuono della pioggia mi assale una paura che mi entra nelle ossa».
Improvvisamente, il Mitch ha invertito la rotta. A dispetto delle previsioni è sceso a sud ed è diventato tempesta tropicale, seminando morte ovunque. Affiora un po’ di rabbia nei racconti di Kathy: «In Honduras sono stati azzerati i collegamenti via terra. Le strade erano ridotte ad un cumulo di fango e detriti. Io ho perso tutto. L’unica cosa che mi è rimasta: i vestiti che avevo addosso. Mia madre si è messa in contatto con l’ambasciata italiana e le avevano assicurato che avrebbero mandato un elicottero, ma non lo hanno mai fatto. Alla fine sono arrivati gli inglesi. Meno male, perché con il sopraggiungere delle epidemie, avrei potuto rimetterci la pelle». La giovane cosentina sospira al telefono, pensando alle migliaia di persone che non potranno mai raccontare la loro storia. A Torremezzo, la prossima estate, scruterà il mare senza timori. Le trombe marine che ogni tanto compaiono all’orizzonte, nei giorni di tempesta, appariranno ai suoi occhi come un timido gioco della natura.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 22 novembre 1998

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