Vedi Napoli e poi muori

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Venerdì 23 Gennaio 2004. A Napoli, Fuorigrotta, va in scena un rituale antico. Ultrà napoletani e poliziotti si scontrano intorno e dentro lo stadio San Paolo. Il fatto non costituirebbe notizia. Anche uno sprovveduto si accorgerebbe che le supermisure antiviolenza del governo si stanno rivelando in tutta la loro cialtroneria. Botte, cariche e feriti scuotono l’Italia del pallone. Altro che «modello inglese»! Semmai, commedia all’italiana.
Dopo i fatti di Napoli, l’Unione Italiana Lavoratori Polizia di Stato si chiede se sia opportuno continuare a giocare le partite allo stadio San Paolo. «Perché se il prezzo da pagare costantemente è l’incolumità di ragazzi delle forze dell’ordine, è meglio non farle disputare». Un tifoso napoletano, invece, racconta la propria versione: « È innegabile che ci siano stati gli scontri, ma la verità è che venerdì sera c’erano allo stadio troppi poliziotti del genere ‘Rambo’, gente gasatissima e in preda all’esaltazione». La proposta di «diffidare» il San Paolo, in effetti, è l’unica vera novità. Perché risulta assai bizzarra l’idea di una squadra che gioca senza il proprio campo. Si passa dal concetto di violenza «negli», a quello di violenza «contro» gli stadi. Dimostrare l’inagibilità e l’insicurezza degli stadi, pur di trasferirne le proprietà alle società, rientra nell’attuale fase di transizione del calcio. Una fase che dovrebbe portare all’adozione del «modello inglese».
Ma è solo una questione di profitti. Il Newcastle incassa dalla ristorazione circa 45 miliardi di lire l’anno. Il Chelsea ha realizzato il «Chelsea Village»: hotel a 4 stelle, ristoranti, mega store e parcheggi sotterranei. Gli hooligans erano poco remunerativi e si è arrivati ad inserire celle per «la detenzione dei violenti» tra le gradinate. In Italia ne vedremo di tutti i colori. Avviene sempre quando settori economici e politici di questo paese si apprestano a cambiare pelle. Tra gli obiettivi di Lega e Figc, il riassetto degli equilibri dell’utenza. Troppe fluttuazioni. Dai 2 miliardi di lire di entrate derivanti dai diritti televisivi nella stagione ’80-‘81, si è passati ai 1035 del ’99-2000, quando la titolarità è passata nelle mani dei club. Il calo di presenze vive negli stadi, ne è diretta conseguenza: in serie A, dal ’97 al 2000, 600 mila spettatori in meno. Pallonari e pallonisti corrono ai ripari. Il calcio cerca di nuovo credibilità sul mercato. Il «demone ultrà», in questa fase, è ancora proficuo. Serve a dimostrare che gli stadi sono insicuri: una quota sostenibile di scontri torna utile a chi governa il calcio. Negli altri paesi, il tifoso non ci sta a farsi stritolare nel frullatore della repressione funzionale. In Germania si è creato un movimento «pro 15,30 al sabato». Nel 2002 una grande manifestazione a Berlino ha chiesto l’abolizione dei cambi d’orario legati alla pay tv. In Inghilterra l’Indipendent Manchester United Supporters Association, dopo la battaglia contro la cessione della società a Murdoch, insiste nella sua lotta alla commercializzazione dei football. In Italia i segnali più interessanti arrivano da Movimento ultras, che lotta per la dignità del supporter. Ma nessuno fa più caso alla deportazione del tifoso in improvvisate aree di concentramento pre-partita. Inutile invocare lo stato di diritto. Entrati nel recinto della «pubblica sicurezza» calcistica, si può dire addio alle regole elementari. Il ministero degli interni si è dotato di una autonoma stanza dei bottoni, l’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, che decide di volta in volta quanti poliziotti impiegare e quali misure adottare. Una specie di Grande fratello, che pare abbia poteri anche sulla gestione della piazza in occasione di manifestazioni politiche: a Trento, il 26 gennaio, sono stati caricati studenti ed insegnanti che protestavano contro la riforma Moratti. Forse qualche funzionario Digos pensava di trovarsi davanti gli ultrà del Milan. Il sistema di coordinamento non deve funzionare proprio alla perfezione: è frequente vedere celerini che picchiano i propri colleghi in borghese, di scorta alle tifoserie in trasferta.
«Collega, basta! Ecco il tesserino! Sono un collega dell’ufficio stadio»,
«Tieni la bocca chiusa, figlio di…».
Tutti contro tutti, intorno al calcio.
Claudio Dionesalvi
CARTA settimanale, gennaio 2004

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