Una cipolla che si sfoglia…

Come una cipolla che si sfoglia velo dopo velo, o come una bambola matrioska che – pezzo su pezzo – scopre brandelli/fotogrammi di esistenze reali, inzuppate nel liquore del surreale, B.D.D. di Claudio Dionesalvi è il mosaico delle tessere sterminate di una città sospesa nella foschia dei suoi tanti troppi sottoboschi.
E proprio la definizione di mosaico, che appartiene a Salvatore Iaccino alias “Aciaddru” (probabilmente anche lui uno dei personaggi del libro coperti da nomi inventati e dall’iniziale rassicurazione a tutela legale che queste pagine sono “frutto di fantasia e che eventuali riferimenti a fatti o persone sono puramente casuali”), è il termine che più è piaciuto all’autore: “Una sintesi perfetta”, ha precisato Dionesalvi nel corso della presentazione in un’affollatissima Casa delle Culture. Claudio Dionesalvi, classe ’71 e una visione avanguardistico-anticonvenzionale delle cose (ma con un porsi da diplomatico inglese se si trova a con-trattare con potenti e ufficiali pluri medagliati) è un guascone nella vita e negli scritti. Serissimo giullare (l’ossimoro è voluto) che si prende gioco dei sistemi precostituiti con la forza di una penna talentuosa e la verità di un vissuto per cui tanto ha inspiegabilmente pagato per episodi che in una società giusta gli sarebbero valsi solo menzioni d’onore. Dionesalvi ha la capacità di stare in equilibrio sul filo sottile che divide il bene dal male, di riuscire a parlare coi malamenti, i miseri, gli ultimi, i dannati, come con i capi di Stato e i monarchi utilizzando eguale espressione di viso ed eguale linguaggio di penna.
B.D.D. è il romanzo dell’utopia che si compie quando le speranze utopiche paiono per sempre perdute e, per questo – come recita il sottotitolo -, è il romanzo degli anni Zero. È un viaggio racchiuso in scatole cinesi (e non certo quelle tristemente utilizzate dalle cronache per indicare truffe aziendali solàndo fisco e lavoratori), ma scatole cinesi nel senso di una scrittura che si apre incastrando e scoprendo man mano uomini che a varie latitudini sociali hanno fatto la storia di una città del sud con una unicità soltanto sua com’è quella della città di Cosenza. Però si tratta “dell’altra” storia, quella che nessuno può normalmente raccontare usando la sua vera identità. Più si scorrono i righi, più si gira pagina, più si viene assaliti dall’angoscia di essere perennemente imprigionati nell’occhio del grande fratello, diretto in questo caso non da una fascinosa soubrette ma da apparati che, sovvenzionati dai contribuenti, lavorano per pedinare, scrutare, spiare, appuntare, re-la-zio-na-re. Che poi, magari, stavi semplicemente recitando nella tua auto la solita parte dello sbruffone perché sei nato guascone o pallista e ti piace respirare d’ironia, tant’è che ci campi, parlando con ironia. Ma finisci così in un’informativa della digos o nell’indagine di un solerte Pm, carte protette (sulla carta) dalla riservatezza, che puntualmente finiranno fra le carte di un avvocato o del caposervizio di un quotidiano filo-Procura della Repubblica. In virtù di questo copione visto e rivisto, ogni capitolo/flash back di B.D.D. regala originali passaggi ironici e sarcastici, senza moralizzare nel fraseggio (giammai moralizzare sui moralizzatori!), bensì svelando piuttosto eventi che inquietano appunto perché presumibilmente ispirati al reale. C’è ovunque, nei nostri ambienti, un Giannino di turno, per fortuna. Colui che conosce segreti, nomi, misfatti di ciascun luogo e che, sfortunatamente, vaga solitario e inascoltato come i folli, relegato al ruolo di scemo del villaggio. Lo stile di Claudio Dionesalvi non si snatura del suo taglio asciutto e giornalistico neppure quando è romanzato, capace di intrecciare un narrato di contenuti variegati sotto l’unico cielo dello svelamento, vale a dire quello che induce alla verità. Poche eccezioni di nomi vengono citate con il loro nome effettivo, a indicare l’amore nostalgico per il tempo che fu, come nell’esempio della mitica sala giochi Matriarca, crocevia di amicizie, amori giovanili, sbandate adolescenziali dove non esistevano figli di papà e figli di operai, pur esistendo eccome, all’epoca, queste differenze. Non “nominare” quasi mai col suo nome, vuol dire sì proteggere entro i confini della privacy, ma implicando soprattutto una traslazione universale delle cose e delle azioni. Interessante sarebbe il riscontro del lettore che non è nato in questi posti, che non deve passare davanti al Palazzo di Giustizia avvertendo il brivido dell’inquieto, che non ha respirato il piscio dei bagni del San Vito. L’utopia in B.D.D. dunque si compie sul serio alla fine, e non è l’utopia della missione portata a termine dal gruppo scanzonato degli idealisti incazzusi e temibili che sfidano l’ignoto dei poteri forti cittadini, no. Non è controsenso che si compia “questa” utopia materializzata nel dossier lasciato volare fatalisticamente sugli spettatori dello stadio da una prepotente folata di vento dopo che il piano è fallito. Non è una contraddizione in termini o il paradosso analistico di una trama fantasiosa o fantascientifica, qui, quindi, che l’utopia si compia.
Al contrario: l’utopia messa a segno da Dionesalvi è “nel mentre”, sta nella tensione a ciò che vale la pena affrontare nonostante il male oscuro che avvolge e spinge in retromarcia le nostre propositive volontà di denunciare e, ancora, di “svelare” (nell’accezione più ampia della parola). Magari agli occhi di certo mondo si finisce per diventare una “Brigata di Drogati e Delinquenti”. Ma è in questo modo che il romanzo utopico si rende vita, e viceversa la vita si rende romanzo: con gli occhi che, anziché stare a guardare, lottano.
Iole Perito
coessenza.org  maggio 2013

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