Movimenti e repressione

CLAUDIO Dionesalvi presenta stasera alle 18 al cinema teatro Italia il suo libro “Mammagialla. Diario di una carcerazione”, edito da Rubbettino. Sotto forma di racconto, Dionesalvi scrive le sue verità in merito all’operazione No global. “Mammagialla” è il nome del carcere di Viterbo: Dionesalvi non sa quale natura abbia questa denominazione, ma l’ha subito scelta come titolo.
Quando hai deciso di scrivere il racconto?
Mentre ero in carcere, l’unico modo per scacciare l’angoscia era rifugiarsi nella scrittura. Sia io che gli altri compagni abbiamo capito d’essere vittime di un attacco preventivo, psicologico e tecnologico. Ovviamente, la nostra risposta non poteva che essere basata sugli stessi strumenti adottati dall’Inquisizione. Raccontare al mondo intero ciò che è accaduto, è un modo per urlare la nostra verità ed evitare che una storia allucinante come questa si ripeta. Mai più qualcuno deve essere perseguitato per le sue idee.
Hai mai pensato di stare tanto tempo in carcere?
Sì. Ad un certo punto me ne ero convinto. Quando gli avvocati ci hanno spiegato la gravità delle accuse, m’è venuto in mente che drammi simili sono accaduti già altre volte in passato. E non meravigliava tanto il fatto di essere sottoposto a repressione per motivi politici. Chi sta nei movimenti, è consapevole di ciò che rischia. Ma la macchinazione e il furto delle nostre parole, francamente non me li aspettavo. Credevo si trattasse di leggende metropolitane, legate ad un immaginario degli anni ’70. Invece, esistono realmente apparati dello Stato che eseguono operazioni poco pulite. Per fortuna, all’interno della magistratura lavorano ancora giudici capaci di isolare gli scalmanati. Ma fino a quando ci saranno certi soggetti in attività, chiunque può aspettarsi di fare qualche anno di carcere perché in un ufficio qualsiasi è stato deciso così. Non dimentichiamo che al momento non esiste un solo responsabile tra le forze dell’ordine sotto processo per le violenze nella scuola Diaz e le torture nella caserma Bolzaneto a Genova, molti compagni sono privati tuttora della libertà, e la famiglia Giuliani non ha avuto, alla sua richiesta di giustizia, la risposta che auspicavamo.
Scrivi le tue verità facendo spesso ricorso all’ironia e al sarcasmo. Perché?
Sono le armi migliori, gli strumenti che ogni sincero sovversivo dovrebbe usare. Fa più male una battuta ironica al momento giusto, di qualsiasi comizio urlato nelle piazze. Il fatto che nell’operazione No Global siano stati arrestati compagni e compagne molto esperti nell’uso della parola viva, è stato un autogol per gli architetti dell’inchiesta.
Quanto è stato importante per te il sentirti cosentino?
Se non fossi cosentino, sarei ancora in carcere. Venti anni fa, ci avrebbero seppellito in galera, come hanno fatto con migliaia di compagni che lottavano negli anni settanta. Invece, nel nostro caso si è assistito ad un piccolo prodigio. Solo una città così fortemente legata alle sue tradizioni democratiche ed autonome, poteva avere quello scatto di indignazione che ha sbalordito l’Italia intera.
Il Quotidiano, 29 maggio 2003

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