La lettera aperta di un pregiudicato: «Io in galera non ci voglio tornare!»

«Ho deciso di cambiare vita. Padre Fedele Bisceglia mi ha dato un tetto e l’opportunità di poter pensare al futuro». Giovanni Valentino, 55 anni, è ospite “forzato” agli arresti domiciliari, dell’Oasi francescana. «Ora – spiega – le condizioni economiche in cui mi trovo, mi impediscono di affrontare altri processi e davanti a me è ricomparso lo spettro del carcere».
Giovanni era finito in galera nel ‘95. «In realtà – aggiunge – sono stato arrestato per una storia di piccoli assegni rubati. E da quel momento i guai non sono più finiti. Ho fatto quattro anni di carcere, ininterrottamente. Credo di aver già sufficientemente pagato il mio debito. Eppure per i reati che mi sono stati contestati, continuo a subire processi. Trattandosi, infatti, di assegni risalenti al periodo ’93 – ‘95, le varie preture circondariali, di tanto in tanto, mi informano che devo essere sottoposto a nuovi procedimenti. Non ho nulla contro la magistratura. Anzi, devo riconoscere che grazie anche alla mia buona condotta e al rispetto verso gli obblighi di sorveglianza ai quali sono stato sottoposto, mi sono stati concessi alcuni importanti benefici. Adesso, però, ho la sensazione di essere senza via d’uscita. Mi rendo conto che la giustizia ha i suoi tempi. E nutro la massima fiducia nella possibilità che presto mi verrà restituita la piena libertà. Però la mia situazione è divenuta drammatica ed insostenibile».
Il caso di Giovanni, che ha usufruito dei benefici derivanti dalla legge Simeone, è analogo a quello di altre migliaia di persone che in Italia vorrebbero tornare a condurre un’esistenza normale, ma si scontrano quotidianamente con il proprio passato.
«Trovandomi agli arresti domiciliati – prosegue – non posso lavorare. Di conseguenza, le mie condizioni economiche sono disagiate. Non ho una casa, né una famiglia. Per vestirmi, utilizzo gli abiti che le persone generose portano all’Oasi francescana. Ma il problema reale consiste nel fatto che non sono in grado di sostenere il peso delle spese legali. Credo di avere approfittato fin troppo della disponibilità del mio avvocato. E quindi vorrei avere la possibilità di poter usufruire della solidarietà di quanti credono nell’importanza di reinserimento sociale. Nel mio caso, anche la forma di patrocinio che lo Stato offre agli indigenti può rivelarsi insufficiente. Non mi darebbe gli strumenti legali idonei ad uscire da questa situazione».
La vicenda di Giovanni, inevitabilmente segnata dalla cornice di povertà in cui si colloca, rientra nella casistica degli ospiti dell’Oasi francescana. Una struttura che necessita di ampliamenti, in base ad un progetto preparato dallo stesso padre Fedele. Dopo i recenti appelli caduti nel vuoto, il frate ha deciso di dare vita ad alcune clamorose iniziative per sbloccare le procedure burocratiche relative alla concessione edilizia. Quasi certamente, venerdì sera, dormirà sotto il ponte di Mancini. In quella circostanza, davanti ai microfoni dei mass-media, ribadirà l’importanza di garantire una sistemazione più dignitosa alle persone come Giovanni Valentino. Il piano di ammodernamento dell’Oasi francescana prevede una spesa di alcuni miliardi. Solo la buona volontà del missionario e l’appoggio di quanti credono nella validità delle iniziative sociali dei francescani, potranno consentire la realizzazione di un’opera pubblica di tale portata. Il centro di accoglienza è un luogo dove l’unica emergenza giornaliera consiste nel dare risposte concrete ed immediate a persone che diversamente sarebbero destinate a scomparire sotto i colpi dell’indifferenza. Ma l’Oasi non può, da sola, risolvere tutti i problemi dei non garantiti.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 23 novembre 1999

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