Il “Rosso sentire” di nonna Rosaria

Una signora di novantanove anni, che se le chiedi di raccontarti la sua storia, ti dice subito: “Io sono una sovversiva. E ne vado orgogliosa”. Una vecchietta che si sente cristiana ma tiene a precisare che non va d’accordo con la Chiesa.
Una candida e dolce nonnina, che assume un colorito viola e cambia espressione degli occhi solo a sentir parlare del fascismo. Altro che pacificazione e perdono, a sessant’anni dalla Liberazione!
Memoria lucida e viva; identità libertaria quella di Rosaria che ricordava ai compagni: “voglio la libertà e per essere veri compagni, la lotta non ci deve spaventare”.
Lei è Rosaria Greco. Vive in un angolo suggestivo della presila: Casole Bruzio; a pochi chilometri da Cosenza, la provincia più ribelle di Calabria. L’ultima volta che è scesa in città, ha partecipato in prima fila ad una manifestazione contro la guerra, due anni fa.
Adesso vive circondata d’affetto ed attenzioni. È un piacere ascoltarla, mentre rievoca storie e miti appartenuti ad almeno tre differenti generazioni. Una famiglia la sua, anzi più nuclei apparentati, con un bagaglio comune di clandestinità vissuta in nome delle proprie idee.
Gli occhi di Rusaria sorridono, quando “vedono” le imprese del fratello Emilio, braccato dai carabinieri di sua maestà, cent’anni fa, perché “sedizioso” e “sovversivo”. I libri vietati, nascosti in fretta e furia in un sacco contenente legna per il focolare, pochi minuti prima della perquisizione. Poi, qualche anno dopo, la sua tanto amata bandiera rossa bruciata davanti agli occhi nel pieno di un’irruzione. La foga fascista non risparmiò nemmeno le piante di garofani rossi, buttate giù dal balcone.
Le palpebre adombrano lo sguardo: la memoria rivisita il ventennio nero, le privazioni e la rabbia. Il capofamiglia volontariamente senza tessera del fascio, e quindi privato del lavoro. Un marito al fronte, in Africa. Lei a cospirare per la libertà, appoggiando clandestinamente gli antifascisti, nascondendo uomini, documenti e pezzi della rivista ‘civiltà comunista’. Persino l’ammucciaturu – il nascondiglio – proveniva da un’altra nobile tradizione di famiglia: “…si cci ammucciavano li briganti”.
Rosaria suggella un ciclo familiare ribelle, sanguigno e duraturo, sfociato nelle lotte del secondo dopoguerra. Nessun prete ebbe mai l’ardire di spegnere il comunismo di Rusaria. Guai a chiamarla “mangiabambini”. Lei ne ha allevato e protetto tanti. Lei c’era anche prima di quel 25 aprile, ed ha continuato ad esserci. Come tutte le nonne del mondo, ama raccontare. A differenza di molte altre, si congeda sempre così: “Io sono una sovversiva”.
Maria Spadafora
Claudio Dionesalvi
Asincrono, n°3 giugno 2005

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