Liberare, federare

Sul territorio italiano esistono circa 150 spazi autogestiti. È impossibile trovarne due uguali. La galassia dei centri sociali è composta da anime diverse, unite nel rifiuto del presente modello sociale, ma in rotta di collisione su forme e obiettivi.
Negli ultimi giorni, il “caso squatters” ha conquistato le prime pagine, creando intorno ai luoghi liberati un clima d’emergenza. Qualcuno ha provato ad isolare “i più pericolosi” da quelli “animati da nobili sentimenti”, come in tutte le telenovelas. «Non esistono “buoni” e “cattivi” – dice in un’intervista a il Domani Beppe Caccia, consigliere comunale verde a Venezia, esponente dei centri sociali del nordest – altrimenti come mai, nel nordest dei “buoni”, una molotov brucia il Provveditorato Regionale agli Istituti di Pena?» Secondo Caccia, l’Ansa avrebbe riportato in modo fuorviante le dichiarazioni di Luca Casarini, portavoce dei centri sociali del nordest, in cui gli autonomi padani esprimevano la loro diversità dagli squatters torinesi. Differenze di percorsi, ma non “dissociazione”. «Siamo diversi – dice Beppe Caccia – ma non ci permetteremmo mai di esprimere un punto di vista sulla situazione torinese. Ognuno parla della propria realtà. La mia esperienza di consigliere comunale rientra in un progetto che parte dal movimento dei centri sociali del nordest». Una scelta gradita dal sindaco di Venezia Massimo Cacciari. «Il nostro orizzonte federalista si contrappone alla forma mistificata dalla Lega, che risponde alla crisi definitiva dello Stato nazione con la proposizione di un micro Stato ancora più autoritario e centralista – aggiunge Caccia – Il nostro federalismo non è quello istituzionale, di chi ritiene che ci sia solo un problema di adeguamento del sistema politico e della rappresentanza alle naturali trasformazioni della sfera economica. Il federalismo che vogliamo è un orizzonte utopico. Dentro questa dinamica di rivendicazione dell’autonomia, dell’autogoverno e dell’autodeterminazione dal basso dei soggetti, ritroviamo l’energia e la potenza della nostra utopia».
La scorsa settimana avete incontrato Cacciari nel convegno “Liberare federare”, tenutosi a Mestre…
«Bisogna superare le culture politiche del ‘900. A queste culture possiamo sentirci legati affettivamente, ma poco ci aiutano ad intervenire nella realtà sociale in cui siamo calati. Dentro il manifesto sul nordest, scritto da Cacciari, c’è questo sforzo. E poi consideriamo positiva la tendenza all’innovazione amministrativa, che il comune di Venezia esprime benissimo».
Nel quinto punto del suo manifesto, Cacciari parla del meridionalismo. Quali riferimenti avete al sud?
«Sul piano teorico sono molto interessanti gli scritti di Franco Piperno. Non può esserci un movimento radicale e federalista, senza che questo si sviluppi nel meridione.  È necessario che anche al sud si ponga la questione dell’autogoverno».
Le vostre posizioni sull’indulto e sulla legalizzazione delle droghe leggere sono divergenti da quelle di altri settori del movimento…
«Il fatto che siamo sempre stati radicali, non soltanto nella teoria, ma anche nella pratica, ci mette nella condizione di affrontare serenamente certe questioni».
Zone liberate dalla sinistra radicale, territori di sperimentazione della democrazia diretta, i centri sociali sono spazi di attuazione di una socialità aperta ai bisogni dei non garantiti e libera dal dominio della merce. I sette centri autogestiti, le due radio e le numerose associazioni del nordest praticano, ogni giorno, le parole d’ordine scandite da decenni. Emerge la voglia di ritrovarsi calati con il corpo nell’orizzonte, senza osservarlo con gli occhi di un’utopia, che spesso è svuotata del suo reale significato: il “camminare interrogandosi”».
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 7 aprile 1998

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