“Ecco come assalto le banche”

Prendere i soldi e scappare. Una tentazione irresistibile. Cosenza è ai primi posti nella speciale graduatoria nazionale delle rapine a mano armata. Nella terra dei Bruzi, i seguaci del bandito Cavallero hanno elaborato una tecnica che è stata esportata ovunque: il taglierino. Quale metodo migliore di entrare in banca con un’arma che sfugge al metal detector? “Si prende in ostaggio il primo che capita, ma senza fargli male”. Giusto il tempo di intimidire i cassieri e costringerli “a consegnare il contenuto dei cassetti”. Un esperto rapinatore non è mai disponibile a raccontare la sua storia. A nessuno. Esistono, però, piccole eccezioni.
René (il nome è immaginario) accoglie la provocazione del cronista e tra un Campari e l’altro rivisita con la memoria a voce alta la scena di un assalto ad una banca. “Tutto inizia con l’istinto. Un po’ il rischio, che è come una droga, ma soprattutto il bisogno di denaro. C’è gente che ha in mente idee strane, falsi idoli. Magari cresce nel quartiere, sognando la macchinona di Tizio o di Caio. Insomma, l’invidia e l’aspirazione ad una affermazione personale. Di solito, chi fa una rapina diventa importante, perché ha dimostrato che se la sente. Purché poi non se la canta”. E l’istinto travolge la paura. “L’entità del gruppo dipende dalla grandezza dell’obiettivo. È chiaro che se devi assaltare tre sportelli, basta un solo elemento che salta il banco, mentre l’altro minaccia l’ostaggio. In sintesi: chiru ca trasa ppé primu, si chiama ra rapina. Il secondo arriva scappando, ed è già mascherato. Si traveste un attimo prima di fare irruzione, per eludere le telecamere. All’esterno resta il “palo”, l’autista. I cassieri di solito restano paralizzati dalla paura. È difficile che reagiscano. I soldi non sono loro e quindi chi gliela fa fare. Raramente decidono di fare gli eroi e spesso prendono i paccari. Ma in un numero elevato di casi, dentro la banca c’è un basista. Uno d’accordo con noi, che è consapevole di quello che deve fare. Il suo ruolo principale riguarda le informazioni: ci dice quando il denaro è in cassa ed è il momento di agire”.
Prima di entrare in azione, però, esiste la classica fase dei preparativi. “A Cosenza, se non ti metti d’accordo con l’ambiente, rischi la pelle. Devi trovare sin dall’inizio un compromesso economico. Il 50 per cento va a chi fornisce protezione, informazioni e mezzi di ogni genere: dalla pistola, alla macchina, al rifugio. L’altra metà la intascano esecutori materiali ed intermediari”. Ma la paura di morire non irrompe mai nella coscienza di un rapinatore? “No, in quei momenti hai davanti agli occhi solo la faccia di Caravaggio, stai a pregustare il momento in cui potrai spridare e non te ne importa nulla del resto. L’ostaggio ti serve a farti spalancare le porte d’uscita. Una volta fuori, è un orgasmo. Bisogna arrivare al punto prestabilito nel minor tempo possibile”. Non sempre, tuttavia, le cose filano liscio. “Quando gli sbirri ti beccano, sei fortunato se non ti ammazzano. Ogni tanto sono le guardie giurate a fare gli eroi. Sparano, e poi vengono trasferite in un’altra città. Ma se sono la polizia o i carabinieri a beccarti, allora sì che sono cazzi amari. Già le botte le prendi quando non sono certi che sei colpevole. Ma quando hanno la sicurezza, il pestaggio può durare anche per ore. La legge consente loro di trattenerti 48 ore senza farti vedere un avvocato. E quindi, fili elettrici, mani pizzicate nei cassetti, pezze bagnate usate come fruste. Persino la taglia degli anfibi che portano ai piedi ti rimane impressa sulla pelle. Non vedi l’ora che ti portino in carcere”. Può capitare, però, che la rapina vada a segno. “E allora è una festa. I soldi sono incupati. E ad essere incarogniti sono quelli che ti cercano. Tanto ormai è fatta!”.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 14 maggio 2000

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