La protesta rende cupo il cielo sopra Arcavacata

Cinque operai sospesi nel vuoto, barricati su una gru alta 40 metri, nel cantiere eterno dell’università della Calabria. Ai piedi del gigantesco braccio metallico, si muovono manovali, sindacalisti, poliziotti e carabinieri. L’unico contatto tra la terraferma e quei puntini umani è affidato ad un secchio in cui i compagni di lotta rimasti giù infilano panini e caffè.
Il Prefetto chiede ai manifestanti di non mettere a repentaglio la loro incolumità. È disposto a riceverli subito, purché abbandonino questa pericolosa forma di protesta. Ma gli operai sono stanchi di mediare. L’esasperazione prevale sulla ragione.
Accade questo nella Calabria delle socialdemocrazie e di Agenda 2000. Sessantatre lavoratori rischiano di perdere il posto. La vertenza “Bocoge”, dal nome dell’impresa impegnata nella costruzione del campus di Arcavacata, sfocia in un gesto disperato. Un’azione preceduta da giornate estenuanti alla ricerca di un’intesa con i padroni del cemento.
Quintali di inchiostro, ore di servizi televisivi ed interminabili riunioni nelle varie sedi istituzionali per arrivare ad un’unica verità: l’azienda ha deciso di licenziare carpentieri, manovali e ferraioli. Inutili sia i tentativi attuati dalle organizzazioni confederali, sia le passerelle dei politici. Persino le promesse del Ministero, che ha recentemente annunciato l’erogazione di altri 112 miliardi, si sono rivelate vane.
Alla Bocoge, che fa parte del gruppo Impregilo e quindi rientra nell’orbita della Fiat, quella forza lavoro non serve più. Deve essere messa «in mobilità», cioè va collocata tra color che son sospesi nel vuoto della disoccupazione. Del resto, le ricette governative parlano di flessibilità, incentivi alle imprese, patti territoriali e chi più ne ha, più ne metta. Ma in Calabria il rubinetto dei fondi comunitari si apre ad intermittenza, l’approvazione dei progetti è strettamente legata a dinamiche molto “meridionali”. Questo dicevano i dipendenti ieri mattina. Poco scolarizzati, eppure molto consapevoli. Loro lo sanno che per essere «flessibili» bisogna trovare l’opportunità di impiego, che forse nel nord-est non mancano, ma in Calabria significano una cosa sola: lavoro nero.
«Sull’autostrada – diceva un baffuto operaio – c’è gente che suda dieci ore al giorno per 50mila lire. Senza contributi, né assicurazione. E con il rischio continuo di rimetterci la pelle. Questo si verifica quando si va avanti a subappalti. Nel momento in cui sono arrivate le lettere di licenziamento abbiamo capito subito che il problema non siamo noi. È una questione di profitti. E i profitti aumenterebbero se ci fosse la possibilità di subappaltare…» Un’ipotesi mai affiorata con chiarezza sinora, nei numerosi vertici istituzionali avvenuti nella locale sede dell’Assindustria o nei vari gabinetti ministeriali.
Il braccio di ferro è solo virtualmente tra sindacati e impresa. In realtà, la torta di cemento dell’Unical è divisa in parti quasi uguali. Tralasciando gli interessi di progettisti, consulenti e venditori di sabbia, rimane il problema degli equilibri tra Impregilo, Bocoge e banche. Gli addetti ai lavori affermano che il primo soggetto ha un interesse pari al 40 per cento, il secondo accampa una fetta di pari entità, mentre agli istituti di credito va ricondotto il restante 20 per cento. Non è da escludere che uno dei partecipanti al banchetto abbia deciso di estromettere gli altri. Non sarebbe la prima volta, in 28 anni di cemento sulle collinette di Arcavacata. È una storia iniziata nel ‘72 con la costruzione del polifunzionale. Il primo atto di concessione scattava dieci anni dopo, con l’affidamento di sei lotti, che nell’86 diventavano 12. L’edilizia universitaria, a Rende, porta la targa di un signore che vive nella capitale: Bonifati. Tante sigle si sono alternate sui cancelli: Impresa Idrotermica Italiana (‘78-‘79). BO-nifatiCOstruzioniGEnerali, Impregilo. Circa 235 delle oltre 400 persone che lavorano nell’area dei cantieri dipendono direttamente dalle suddette sigle. L’ateneo ospita 3000 dei 22mila studenti iscritti. Mille e cinquecento negli alloggi e l’altra metà in affitto. Per questi ultimi l’università spende tre miliardi all’anno. L’amministrazione intende portare il numero degli studenti a seimila unità. Ma il cemento inizia a scarseggiare. Su quella gru, ieri notte hanno dormito cinque operai. In serata le previsioni meteorologiche prevedevano freddo intenso.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 27 novembre 1999

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