Perché a Cosenza manca l’acqua? INCHIESTA. Prima puntata: DIAMO UNO SGUARDO ALLA SITUAZIONE

Copiose si abbattono tardive piogge, ma in città manca l’acqua. In un appartamento al primo piano, nella zona di corso Mazzini, il flusso inizia alle 7 del mattino e s’affievolisce alle 12. Poco dopo mezzogiorno, il rubinetto tossisce, piange, spara aria, infine muore. In diversi edifici la durata del servizio si riduce addirittura a due ore. Se non fosse per cisterne private e cassoni condominiali, per tre quarti della giornata sarebbe impossibile bere, cucinare, lavarsi. È vero che le falde acquifere hanno bisogno di tempo per tornare ad attingere nuova linfa, soprattutto dopo la quarta estate più secca a partire dal 1800. Eppure il problema sussiste, a prescindere dai capricci di Giove pluvio, indignato per i danni che due secoli e mezzo di industrializzazione hanno provocato all’ecosistema planetario. Quaggiù in Calabria, come altrove, le responsabilità sono umane, verrebbe da dire “politiche”, se per effetto della pessima qualità dei rappresentanti istituzionali che esprimiamo, questo aggettivo non avesse smesso di significare la possibilità concreta d’amministrare il territorio. La nostra acqua è gestita dalle multinazionali, affidata ad aziende locali che di pubblico hanno i soldi e di privato gli interessi. Si disperde nelle tubature marce che la trasportano da acquedotti fatiscenti ai sempre più depressi rubinetti delle nostre case. Qualcuno fa notare che a causa dei cambiamenti climatici, la situazione è destinata ad aggravarsi nel prossimo futuro. Ma se proprio dobbiamo prepararci a scenari idrici da apocalisse, possiamo consolarci nutrendoci di consapevolezza, capire cioè le cause del disastro, perlomeno quelle che provocano sofferenza nei luoghi in cui viviamo.
Cosenza è alimentata principalmente dagli acquedotti Abatemarco e Bufalo di proprietà regionale, affidati in gestione a So.Ri.Cal: Società Risorse Idriche Calabresi s.p.a., società mista, in liquidazione, a prevalente capitale pubblico regionale [53,5% Regione Calabria; 46,5% Acque di Calabria s.p.a. (100% Veolia)]. Ad essa – si legge sul sito ufficiale – spettano “la gestione, il completamento, l’ammodernamento e l’ampliamento degli schemi idrici di grande adduzione, accumulo e potabilizzazione trasferiti alla Regione Calabria dalla disciolta Cassa per il Mezzogiorno”.
Quindi So.Ri.Cal. gestisce le infrastrutture regionali, cioè gli acquedotti: opere di presa, condotte adduttrici e serbatoi. E vende l’acqua ai diversi Comuni. Si è aggiudicata questo servizio mettendo sul piatto della bilancia degli investimenti per potenziare il sistema di acquedotti della Regione. Ma se ciò fosse realmente avvenuto, non ci troveremmo a fronteggiare una carenza idrica così drammatica. Quello che fa molto bene So.Ri.Cal. è invece massimizzare i propri profitti, godendo anche della posizione privilegiata che le è garantita dall’essere in parte un soggetto pubblico.
Inoltre non riesce a recuperare i crediti che vanta verso i Comuni. Eh sì, perché non esiste municipio che non sia indebitato nei confronti di So.Ri.Cal.. È molto difficile far quadrare i conti tra quantità erogate e somme riscosse quando si parla di acqua. Esistono delle perdite fisiche e amministrative fisiologiche che i Comuni non hanno mai fatto quadrare. Succede nei condomini in cui abitiamo, figuriamoci per un’amministrazione comunale!
 
Anzitutto, quanti e quali sono gli acquedotti che servono la città?
Il sistema di approvvigionamento idrico del comune di Cosenza è abbastanza complesso. Siccome la conca bruzia è circondata da alture, l’acqua arriva da diverse fonti di differente natura e direzione di provenienza.
L’acquedotto Abatemarco scende da nord percorrendo circa 80 km che separano Cosenza da San Donato di Ninea (la zona da cui parte la condotta adduttrice dell’acquedotto). “L’Abatemarco – spiega Marco De Marco, ingegnere idraulico che ha collaborato con il comune di Cosenza, emigrato per lavoro in Oman – è un acquedotto realizzato dall’ex Cassa per il Mezzogiorno. Fu scoperto per caso realizzando una condotta.
Perforando la roccia ci si accorse che la montagna, costituita da rocce calcaree, presentava una cavità al suo interno, una specie di cisterna naturale di enormi dimensioni che si prestava a realizzarne un serbatoio di accumulo. Lungo il suo sviluppo, la condotta dell’Abatemarco distribuisce l’acqua in molti comuni della valle del Crati. Cosenza si trova quasi al capolinea di questo percorso, risentendo spesso di disfunzioni dovute alla posizione idraulicamente più svantaggiata”.
L’acquedotto del Bufalo arriva in città da Est, cioè dalla Sila, costituita prevalentemente dalle rocce granitiche comuni a tutto l’Appennino. Il granito è una roccia molto dura che rende problematica la realizzazione di scavi. Inoltre è estremamente porosa, cioè può essere attraversata dall’acqua e ciò rende più difficile creare le opere di presa all’origine degli acquedotti. “Per questi ed altri motivi – aggiunge De Marco – il comune di Cosenza ed il suo hinterland vengono alimentati principalmente dal Pollino, e molto meno dalla Sila”. Gli altri acquedotti “minori” che servono il comune di Cosenza sono il Merone, lo Zumpo e il Timpafusa. Questi acquedotti, di proprietà comunale, sono riforniti da sorgenti che raccolgono le acque provenienti dalla Sila e dalla catena costiera.
Cosenza è alimentata anche da pozzi che servono per succhiare l’acqua dalle falde acquifere del sottosuolo. Un campo pozzi si trova in località Mussano, sotto al cimitero, ed è di proprietà comunale.
Quanta acqua portano queste fonti? “Si può fare un conteggio delle portate medie – precisa il giovane ingegnere cosentino -. Quando si ragiona in termini di portate bisogna stare molto attenti, perché si tratta di grandezze che non sono costanti, cioè cambiano continuamente in funzione del tempo, per via della stagionalità. Per basarsi sulla media di una qualsiasi grandezza è necessario tenere presente il campione di dati cui si fa riferimento, ovvero la base temporale su cui questa media è calcolata. Media giornaliera? Media mensile? Media annuale? Onestamente non so su quale scala temporale siano calcolati i dati forniti da So.Ri.Cal.. Faccio questa precisazione perché la controversia tra il Comune e So.Ri.Cal. è nata anche per fraintendimenti sul dato di portata alla base dei loro accordi.
  • L’Abatemarco recapita a Cosenza circa 246 l/s (litri al secondo);
  • Il Bufalo recapita circa 84 l/s;
  • Il Merone 88 l/s circa;
  • Zumpo 24 l/s;
  • Timpafusa 70 l/s;
  • I pozzi di colle Mussano circa 24 l/s;
Attenzione: il litro è un’unità di misura del volume. Mille litri equivalgono a un metro cubo, se vuoi trasformare i l/s in m3/s devi dividere per 1000”.
In totale la portata media in ingresso è pari a circa 540 litri al secondo (206 l/s da fonti comunali e 334 l/s da fonti So.Ri.Cal.). Solo in teoria, però. “Nella realtà – prosegue De Marco – non è così, perché le sorgenti risentono della stagionalità, in primavera raggiungono la massima produttività, mentre in autunno il minimo. Inoltre l’acqua fornita dalle sorgenti cambia di anno in anno al variare della siccità o della piovosità. Poi bisogna tenere in considerazione quanto la pioggia che cade sia distribuita nel tempo. Se piove molto ma in un periodo breve, è peggio che se piove meno ma in maniera omogenea”. Questi dati sono puramente indicativi poiché per le fonti comunali non sempre esistono strumentazioni di misura, mentre per quelle pertinenti a So.Ri.Cal. sono attivi i contatori fiscali, ma vengono letti solo dai suoi tecnici. Quindi, ci dobbiamo fidare di quel che ci dicono senza poter verificare.
Sulla situazione generale dell’acqua in Calabria:

Giovanni Peta, Coordinamento Calabrese Acqua Pubblica “Bruno Arcuri”
Claudio Dionesalvi
(fine prima puntata)
(la seconda puntata – COSA NON FUNZIONA – sarà pubblicata giovedì 16 novembre)

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